Il Fatto Quotidiano

Pasticcio Libia, ora è Haftar a sostenere il piano Onu

Tobruk e il suo generale pronti alle elezioni nel 2018, restio al-Sarraj, il premier voluto dalla comunità internazio­nale: popolarità in calo

- » GIAMPIERO GRAMAGLIA

Dei

tanti tasselli del puzzle mediorient­ale, il più difficile da mettere a posto è quello che più riguarda l’Italia, per i flussi dei migranti e per gli interessi economici e energetici: la Libia. C’è un’accelerazi­one nella ricerca d’un compromess­o fra le fazioni libiche: i negoziati, ieri, sono pure passati per Roma, dopo che, venerdì, il capo del governo riconosciu­to dalla comunità internazio­nale Fayez al Sarraj aveva incontrato, a Washington, il presidente Trump. Mentre sulla Libia si discute, per la Siria si delinea un piano di pace a impronta russa cui sta lavorando il Congresso della Nazione siriana, riunito a Sochi. E per l’intera regione ci sarebbe pure un piano americano, approntato dal consi- gliere della Casa Bianca, il ‘primo genero’Jared Kushner, pare all’insaputa del segretario di Stato Rex Tillerson: un piano pensato per soddisfare le velleità anti-Iran d’Arabia Saudita e Israele. In Libia, in poco più di due mesi, la mediazione intrapresa dal nuovo rappresent­ante dell’Onu, Ghassan Salameh, libanese, ha conosciuto sviluppi importanti, ma di difficile lettura.

LA CAMERA dei Deputati di Tobruk (uscita delle elezioni del 2014) e il governo di Tripoli (frutto dell’accordo firmato a Skhirat nel dicembre 2015) hanno nominato ciascuno una loro commission­e per decidere come governare il Paese durante la transizion­e che dovrebbe portare alla soluzione della crisi. Le commission­i hanno lavorato dal 25 settembre al 21 ottobre produ- cendo un testo che non ha però raccolto il consenso necessario. Salameh ha allora provato a ricavarne una bozza di compromess­o, che, a sorpresa, piace a Tobruk, cioè al generale Haftar, più che a Tripoli, cioè ad al-Sarraj, che pure è una creatura dell’Onu.

Per Salameh, che l’ha ieri ripetuto a Roma “ci sono le condizioni per tenere le elezioni in Libia entro il 2018”: la registrazi­one degli elettori dovrebbe già iniziare questo mese. “Spero d’incontrare presto il generale Haftar – dice il mediatore – per fargli sapere che stiamo preparando il terreno perché si voti nel 2018. Le elezioni non vanno usate per mettere una toppa su un problema: servono quando risolvono un problema”. Due le condizioni preliminar­i: “Che ci siano le condizioni di sicurezza necessarie e che i vari attori

Azione diplomatic­a

Il mediatore Salameh: “Il voto non serve a mettere toppe, ma a risolvere il problema”

siano disposti ad accettarne i risultati”. Tobruk, che sente il vento del consenso nelle vele, è pronta a farlo. Tripoli, che avverte delusione della gente per l’operato del governo, non troppo. E se Salameh parla di elezioni, al Sarraj chiede agli Usa via libera all’acquisizio­ne di armi ed equipaggia­menti militari, con una parziale rimozione dell’embargo Onu, almeno per quanto riguarda la guardia presidenzi­ale e la guardia costiera: reparti che Haftar non controlla.

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Ansa Avversari Il generale Khalifa Haftar e il premier al Sarraj

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