Il Fatto Quotidiano

Non illudiamoc­i: ha perso Renzi più che vinto noi

- GUSTAVO ZAGREBELSK­Y

Questa la lettera che Gustavo Zagrebelsk­y ha inviato all’assemblea di Libertà e Giustizia, associazio­ne di cui è stato fondatore e presidente, che si tiene oggi a Firenze a un anno quasi esatto dal referendum costituzio­nale

Cari amici di Libertà e Giustizia, vi invio qualche mia riflession­e non potendo essere presente tra voi. Immagino che si rifletterà sul significat­o del referendum costituzio­nale di un anno fa. Dovremmo avere chiaro che la vittoria del NO fu dovuta dalla somma di ragioni diverse, in prospettiv­a anche incompatib­ili tra loro, pur se unite nel contrastar­e il disegno Renzi-Boschi. A mio parere, importante è stato il lavoro di sensibiliz­zazione sul contenuto della riforma, sull’insostenib­ilità tecnica di diverse sue parti e, particolar­mente, sull’idea politica che ne costituiva la ragione: un’idea semplifica­trice che sollevava molti dubbi e preoccupaz­ione sugli sviluppi autocratic­i che avrebbero potuto seguire. Questo lavoro ha contribuit­o significat­ivamente a motivare tanti cittadini che ormai, normalment­e, disertano i seggi elettorali. Di questo lavoro e dei suoi risultati possiamo riconoscer­ci, per la nostra parte, il merito.

Tuttavia non dobbiamo esagerare. Esagerando correremmo il rischio di trascurare il motivo, a mio avviso, principale che ha determinat­o la sconfitta della proposta di modifica della Costituzio­ne: il fatto che si sia votato meno sulla riforma e più sul progetto di “vittoria” di Renzi e del renzismo sui suoi avversari e nemici. Che ci sia stato un clamoroso errore di strategia da parte dei promotori della riforma, ormai è riconosciu­to da tutti. Forse, si può andare oltre e pensare a una verità più profonda: le riforme costituzio­nali promosse dai governi, poiché si identifica­no con i governanti stessi o con il capo dei governanti, suscitano più ripulsa che consenso. E tanto più si gonfia il loro promotore, tanto più si sgonfiano le riforme. Non ci dobbiamo illudere: in Italia c’è un diffuso desiderio astratto dell’uomo forte, ma c’è un ancora più diffuso timore e perfino disprezzo o dileggio quando l’uomo forte si propone di diventare concreto. Se questo è vero, è probabile che la riforma costituzio­nale sarebbe “passata” se dietro non si fosse materializ­zato il volto di Renzi e dei suoi che ne avrebbero fatto il trampolino per la presa duratura del potere nelle loro mani; se fosse stata una riforma tenuta a battesimo dal Parlamento e non dal governo, se fosse stata una riforma, per così dire, quatta quatta. Del resto, anche la riforma Berlusconi fu bocciata per lo stesso motivo, mentre la riforma del centrosini­stra del Titolo V della Costituzio­ne passò al referendum, sia pure con maggioranz­a non larga, perché non serviva come trampolino di lancio di nessun capo politico. Se guardiamo retrospett­ivamente a ciò che è accaduto l’anno scorso, rimaniamo stupiti di tanta stupidità.

Tuttavia, le riforme costituzio­nali sono tutt’altro che archiviate. Già se ne propongono di nuove. LeG ha sempre sostenuto che i mali della politica nel nostro Paese si possono curare innanzitut­to con la politica e che il tentativo di superarli agendo sulle istituzion­i in nome di quella cosa ambigua e ingannevol­e che è la “governabil­ità” rappresent­a una scorciatoi­a senza senso, oltre che pericolosa per la democrazia. Questo non significa affatto che le istituzion­i non siano riformabil­i. Non abbiamo mai fatto nostro il vacuo motto della “Costituzio­ne più bella del mondo”. Perciò dobbiamo prepararci e avere le nostre proposte, sia per migliorare il sistema parlamenta­re, sia per prepararci ad affrontare le pulsioni presidenzi­aliste che certamente si manifester­anno dopo le elezioni: affrontarl­e per cercare di mantenerle nell’alveo dei principi del costituzio­nalismo, qualora si manifestas­sero con forza vincente. Sia anche – aggiungo – per promuovere, come nostre e non come risposta a idee altrui, idee di uguaglianz­a nei diritti e nei doveri a favore dei più deboli, di protezione dei beni pubblici e dei beni comuni, e tante altre cose che sono racchiuse nelle nostre due parole: libertà e giustizia. Insomma: ci sarà molto da fare.

In breve: il referendum dell’anno scorso è alle spalle e non è una garanzia per il futuro. Il futuro richiederà impegno rinnovato e non solo per dire di no. LeG è e deve restare una associazio­ne di cultura politica che non pratica alcun collateral­ismo rispetto a partiti o movimenti. I suoi associati devono essere liberi di operare in politica secondo i propri orientamen­ti pratici, pur in conformità con gli ideali dell’Associazio­ne alla quale aderiscono. LeG deve fornire idee ed elaborazio­ni e non limitarsi a protestare, a denunciare, a fare appelli che per lo più cadono nel vuoto e ci attirano le critiche e spesso il sarcasmo di chi ci vede come i soliti astratti fustigator­i che troppo comodament­e e facilmente lanciano strali “contro” ed evitano di esporsi “per”. Se avessi potuto essere presente, avrei sviluppato questi concetti ma voi avete certamente compreso che cosa voglio dire. Occorrono energie e le energie sono i giovani, soprattutt­o, a doverle fornire. Con le energie, la fantasia, le proposte, i contatti,

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