Il Fatto Quotidiano

La Boschi sapeva?

- » MARCO TRAVAGLIO

Mettiamoci d’acc or do una volta per tutte: un politico bugiardo deve dimettersi o almeno spiegare la sua bugia e scusarsi con gli elettori, oppure deve restare al suo posto, fare carriera e chi se ne frega? Siamo aperti a tutte le opzioni, purché valgano per tutti. Il 5.9.2016, audita dalla Commission­e parlamenta­re ecomafie con la sindaca Virginia Raggi sull’eterna emergenza rifiuti, l’allora assessora all’Ambiente Paola Muraro si sentì domandare se fosse indagata nell’inchiesta sull’Ama e rispose di sì. Fu chiesto alla Raggi se lo sapesse e rispose di sì. A luglio l’assessora aveva rinnovato la sua richiesta ex articolo 335 su eventuali indagini a suo carico e la risposta era stata positiva: un’iscrizione sul registro per violazioni ambientali, senza avviso di garanzia. La sindaca aveva informato il minidirett­orio romano, che a sua volta aveva avvertito quello nazionale, Di Maio in primis, e si era deciso di attendere le conclusion­i della Procura. Apriti cielo! La Muraro aveva detto al Fatto di non saper nulla di indagini a suo carico (bugia); e Raggi, Di Maio & C. avevano sempre negato che la Muraro avesse ricevuto avvisi di garanzia (verità). Noi scrivemmo che l’assessora doveva andarsene: non per l’indagine, ma per la bugia. Invece restò. Poi saltò fuori la email di Paola Taverna che informava vari parlamenta­ri tra cui Di Maio, il quale spiegò di non aver capito l’importanza della cosa, pensando a un atto dovuto senza conseguenz­e immediate. Il tutto sotto il fuoco di giornaloni e tg, che da mesi cannoneggi­avano ogni giorno sull’inchiesta Muraro, come se riguardass­e accuse gravissime (si parlava addirittur­a di Mafia Capitale, calunnia rilanciata dal premier Renzi) e non un’eventuale infrazione sui quantitati­vi di rifiuti smaltiti dagli impianti di Rocca Cencia, oblazionab­ile con una multa di poche centinaia di euro. Il titolo fisso, per giorni e giorni, fu “Di Maio sapeva?”. Poi si passò a “Di Maio bugiardo”, anche se non aveva mentito. Il 12.1.2016 la Muraro ricevette l’invito a comparire e dovette dimettersi. Noi scrivemmo che era un errore: il guaio era la vecchia bugia, non l’imminente interrogat­orio per fatti non infamanti tutti da verificare.

Ora ci risiamo, ma stavolta c’è di mezzo un personaggi­o ben più importante di un’assessora all’Ambiente (per giunta tecnica, non iscritta ad alcun partito): Maria Elena Boschi, ex ministra di Renzi, sottosegre­taria alla Presidenza del Consiglio con Gentiloni e fedelissim­a del segretario Pd. I guai giudiziari riguardano suo padre Pier Luigi, multato due volte da Bankitalia e una da Consob per la malagestio­ne dell’istituto.

Ma soprattutt­o indagato ad Arezzo da due anni per bancarotta fraudolent­a nel crac di Banca Etruria (di cui era vicepresid­ente e membro del Cda) e da sei mesi per falso in prospetto. Nella prima inchiesta la sua posizione è stata “stralciata” dal procurator­e Roberto Rossi, intenziona­to a chiedere l’archiviazi­one. La seconda è in pieno corso: dopo i primi sei mesi il pm gli ha notificato nei giorni scorsi la richiesta di proroga-indagini. Poi, giovedì, Rossi è stato audito dalla Commission­e parlamenta­re banche: lì ha scagionato babbo Boschi dalla bancarotta (anche se il gip non ha ancora deciso l’archiviazi­one, anzi non ha neppure ricevuto la richiesta) e non ha detto di averlo indagato per falso in prospetto. Poi ha precisato di aver “annuito” col capo a una domanda su indagini ancora pendenti. Se, oltre ad annuire, avesse fatto lo sforzo di pronunciar­e un “sì”, o almeno strizzare l’occhiolino o dare di gomito al vicino, ci saremmo risparmiat­i due giorni di tweet, dichiarazi­oni, sparate, interviste di Renzi, Orfini & C. e titoloni di giornali e tg sulla fake news “Boschi innocente e Bankitalia colpevole”. Ma tant’è: ora, nei tribunali e nelle commission­i parlamenta­ri (che hanno gli stessi poteri della magistratu­ra) bisognerà stare attenti anche alle oscillazio­ni del capo di testimoni e imputati, e pure alle increspatu­re del volto e alle vibrazioni sopraccigl­iari, per non farsi sfuggire un alibi o una chiamata di correo. E meno male che domenica La Verità ha scoperto la nuova indagine su papà Boschi, altrimenti del lieve moto del capino del procurator­e si sarebbe accorto solo lui, mentre il Parlamento, la stampa, le tv e i cittadini italiani continuere­bbero a credere alla fake news renziana. Ma non c’era solo il procurator­e a sapere della nuova indagine su papà Boschi. Lo sapeva anche papà Boschi, che aveva appena ricevuto la notifica della proroga. Ne aveva informato Maria Elena? La logica fa pensare di sì, salvo immaginare un padre sleale che tace alla figlia impegnata in un ruolo istituzion­ale così importante una notizia tanto decisiva proprio mentre il “suo” pm viene sentito in Parlamento. Oltretutto la figlia si era sempre mostrata molto, forse troppo informata delle indagini sul babbo. Il 7 marzo, a Porta a Porta, lamentò che “nessuno ha dato grande risalto alla notizia che mio padre è fuori da quell’inchiesta per bancarotta fraudolent­a” (infatti all’epoca non era affatto fuori: sempliceme­nte non era fra gl’indagati per cui il pm aveva chiesto il rinvio a giudizio). Il 7 agosto poi un uccellino spifferò all’A nsa che “Pier Luigi Boschi va verso l’archiviazi­one”, ma subito la Procura smentì. Dunque: il padre ha avvertito la figlia della nuova indagine? E, se sì, la Boschi ha informato Renzi e Orfini (capogruppo Pd in commission­e)? Se non l’ha fatto, ha commesso una grave scorrettez­za, esponendo il suo partito a una figura barbina. Se l’ha fatto, Renzi, Orfini & C. hanno mentito sapendo di mentire, con la complicità della Boschi. Anche per questo la commission­e deve ascoltare al più presto non solo Ghizzoni, ma anche la Boschi. Intanto attendiamo trepidanti i titoloni: “Boschi sapeva?” e “Renzi e Orfini mentono?”.

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