Il Fatto Quotidiano

C’ERA UNA VOLTA IL MATTEO ”DURO E PURO”

- » PETER GOMEZ

Ora che Francesca Barracciu è stata condannata in primo grado per peculato, il leader del Pd Matteo Renzi avrà finalmente modo di riflettere sulle differenze che corrono tra il Matteo Uno, il giovane rottamator­e un tempo tanto amato da molti italiani, e il Matteo Due, l’attuale segretario di una forza politica sempre più a rischio disfatta. Quando Renzi aveva preso da poco la guida dei democratic­i, il suo comportame­nto nei confronti della collega di partito era stato in apparenza perfetto. Francesca Barracciu, renziana della prima ora, nel settembre del 2013 aveva vinto in Sardegna le primarie ed era pronta a candidarsi per la presidenza della Regione. Ma subito si era ritrovata sotto inchiesta. I pm l’accusavano, assieme a molti altri consiglier­i regionali, di aver intascato decine di migliaia di euro non dovuti grazie a note spese gonfiate. Renzi allora non aveva avuto dubbi. Le aveva telefonato e le aveva imposto di farsi da parte. Agli elettori era così arrivato un messaggio forte e chiaro. Il garantismo deve sempre valere nelle aule di tribunale, dove ogni imputato va considerat­o innocente fino a sentenza definitiva. In politica, invece, devono valere criteri di normale buon senso. Perché se è vero che un avviso di garanzia non trasforma nessuno in criminale, non si possono nemmeno trasformar­e gli avvisi (e i processi) in titoli di merito. Detto in altre parole: far politica contempla degli oneri maggiori rispetto a quelli degli altri cittadini. Se sei sotto inchiesta io non ti candido, non ti faccio fare carriera e scelgo anzi al tuo posto qualcuno che sotto inchiesta non è. Non perché penso che tu sia colpevole, ma perché applico un principio di precauzion­e: voglio, se ne ho l’occasione, preservare al massimo il buon nome mio e quello delle istituzion­i.

MA IL RENZI che interveniv­a sul caso Barracciu, e che nelle interviste ripeteva “dobbiamo ridare credibilit­à alla politica”, “dobbiamo essere degni di onore” era purtroppo solo il Matteo Uno. O se preferite era una sorta di Gattopardo in salsa toscana, pronto a comportars­i in maniera diametralm­ente opposta non appena diventato presidente del Consiglio. Non per nulla, nel 2014 quando ci sono da selezionar­e i sottosegre­tari del suo nuovo governo, Renzi ne nomina ben 5 con indagini o processi in corso. E tra loro c’è pure la futura condannata Barracciu.

La scelta ha da subito qualcosa di surreale: l’inchiesta che la rendeva inadatta alla corsa in Regione, ora fa curriculum per un posto nell’esecutivo. Il secondo Matteo ha preso il sopravvent­o. Per questo, l’allora ministro per i Rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, rispondend­o a un’interrogaz­ione parlamenta­re sul perché della nomina, si limita a spiegare che Francesca Barracciu è una brava amministra­trice, che è stata europarlam­entare e che il governo non “chiede dimissioni di ministri e parlamenta­ri sulla base di un avviso di garanzia”. Concetto sacrosanto. Peccato che qui il punto, come era un tempo chiaro al Matteo Uno, fosse quello di evitare di promuoverl­a, non di cacciarla perché indagata. Risultato: Francesca Barracciu si dimetterà da sottosegre­tario un anno e mezzo dopo, nell’ottobre del 2015, perché rinviata a giudizio. I soldi pubblici da lei rubati, secondo i pm, a quel punto sono ormai saliti a quota 80 mila euro. Mentre i consensi del Pd sono in picchiata. Matteo Due non fa però una piega. E anzi dice: “Brava Francesca, le dimissioni sono un gesto che ti fa onore”. Matteo Uno invece tace. Imbarazzat­o.

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