“La Capitale è Gerusalemme” E il Medio Oriente s’incendia
Gli Usa spostano l’ambasciata da Tel Aviv. Critica anche la Ue
■“È il trionfo del non sense, prevedo una situazione inestricabile”, commenta al Fatto lo scrittore israeliano Avraham Yeoshua. I palestinesi promettono “tre giorni di rabbia”
La decisione di Trump di spostare l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme è insensata oltreché pericolosa. Ma, purtroppo, The Donald è il Re del non sense, per usare un eufemismo”. Avraham Yeoshua, il decano degli scrittori israeliani che per primo ha condannato l’occupazione israeliana dei Territori palestinesi e ancora si batte affinché termini dopo mezzo secolo, commenta con un filo di voce al Fattola notizia che è balzata nel pomeriggio di ieri in testa a tutti i media internazionali. “Ora la matassa già complicata nel Vicino Oriente e Medio Oriente non potrà che ingarbugliarsi ulteriormente, nella migliore delle ipotesi”, conclude Yeoshua.
La decisione della Casa Bianca di riconoscere implicitamente Gerusalemme come capitale di Israele spostando la propria ambasciata nella Città Santa - che Israele ha annesso nella sua interezza con una decisione unilaterale del Parlamento nel 1980 - è arrivata ieri dopo gli annunci dei giorni scorsi. Nonostante in serata un funzionario dell’amministrazione statunitense avesse puntualizzato che l’ambasciata non verrà spostata subito, l’allarme scatenato in tutto il mondo dalla provocatoria scelta di Trump non si è smorzato. Rimane infatti chiaro che il genero-consigliere di Trump, quel Jared Kouschner rampollo di una ricchissima famiglia ebreo-americana repubblicana di fede ortodossa e sostenitrice delle colonie ebraiche nei Territori palestinesi, è riuscito a convincere il suocero a sfidare il mondo islamico e anche la maggior parte degli arabi, suoi alleati. Da qui il “non sense” a cui faceva riferimento Yeoshua. Riconoscere tutta Gerusalemme, ossia anche la zona orientale in predicato di diventare la futura capitale di un eventuale Stato palestinese sulla base delle risoluzioni Onu, come capitale dello Stato ebraico è stato finora un tabù oltre che una sfida al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Le reazioni sdegnate del mondo arabo e di tutto quello islamico, che comprende anche i turchi e i persiani, sono state immediate e tutte di condanna. Gli unici arabi musulmani che non si sono uniti al coro vaticinante l'esplosione dell'en- nesima tragedia nel secolare conflitto israelo- palestinese-libanese, sono stati i sauditi. Prova provata che il riconoscimento di Gerusalemme tutta come capitale unica e indivisibile di Israele è la diretta conseguenza del patto di ferro stretto l’estate scorsa dalla Prima famiglia statunitense e dalla famiglia reale saudita durante la visita dei Trump a Riyadh. L’ambizioso e determinato principe ereditario saudita Mohammed bin Salman e Jared Kouschner allora avrebbero gettato le basi per la ripresa dei colloqui tra palestinesi e israeliani allo scopo di arrivare alla stipula di un piano di pace a quanto pare molto sbilanciato a favore di Israele.
LE SOFFIATE pubblicate dal New York Times lo confermano. Peccato che i due spregiudicati neo-alleati abbiano fatto il classico conto senza l’oste. Il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, informato della decisione con una telefonata di Trump, ha detto che si tratta di una “decisione sbagliata e molto pericolosa”. Ma in realtà non è il debole Abu Mazen il mescitore, bensì la Lega Araba che riesce sempre a parlare con u- na sola voce quando si tratta di difendere Gerusalemme Est, il luogo dove sorge il Monte del Tempio, per gli ebrei, che i musulmani chiamano Spianata delle Moschee. Ovvero il terzo luogo sacro di tutto il mondo islamico, sia sunnita che sciita, dopo la Mecca e Medina, entrambe in territorio saudita. Ecco che la scelta di includere ufficialmente anche la zona della Spianata delle Moschee dentro il “patto di pace” redatto dalla coppia ebreo-saudita, non può che essere respinta con forza dal resto degli arabi, ma anche dalle autorità turche, iraniane e giordane.
L’altra telefonata che Trump ha dovuto fare è stata infatti al re di Giordania Abdallah II, essendo il custode in pectore della Spianata delle Moschee-Monte del Tempio dopo che il padre firmò la pace con Israele divenendo il primo a dover svolgere il gravoso compito. Trump ha avuto colloqui telefonici anche con Netanyahu e con il presidente egiziano Al Sisi.
ABRAHAM YEHOSHUA
Una decisione insensata oltreché pericolosa
Ma, purtroppo, The Donald è il Re del non sense, per usare un eufemismo