Il Fatto Quotidiano

Ue, la lista-farsa dei paradisi fiscali accontenta tutti

Partorito un elenco addomestic­ato per non scontentar­e nessuno

- L.C.

La

montagna del Consiglio dei ministri Ue delle finanze – compreso quello della Gran Bretagna – ha finalmente partorito dopo laboriose e poco dignitose trattative una lista topolino dei paradisi fiscali, i Paesi cioè da mettere al bando per la loro disinvolta ospitalità nei confronti degli evasori discali. Sono 17 i Paesi reprobi, secondo Bruxelles: Samoa e Samoa americana; Guam, Bahrein, Granada, la Corea del Sud, Macao, le isole Marshall, la Mongolia, la Namibia, Palau, Santa Lucia, Trinidad e Tobago, la Tunisia, In gli Emirati arabi uniti, Panama e le Barbados.

Ma è una lista avara. Generosa, per esempio, nei confronti di Malta, Cipro, Lussemburg­o; delle isole inglesi al largo della Manica. Veti incrociati, minacce di rottura dei negoziati, rassicuraz­ioni da parte dei Paesi nel mirino di assecondar­e le richieste della Commission­e europea: peraltro, promesse che erano state fatte già in passato, senza per questo cambiare di molto la situazione, come hanno potuto dimostrare le inchieste dell’Icij, l’associazio­ne dei giornalist­i investigat­ivi che hanno prodotto le colossali inchieste di Panama e Paradise Papers.

Nella lista nera stavano per finire anche Marocco e Capo Verde, solo ieri i nomi sono stati spuntati perché gli esperti hanno ritenuto che le loro rassicuraz­ioni erano sufficient­emente credibili. In realtà, hanno potuto contare s u ll ’ appoggio di Francia e Portogallo. In camera caritatis Panama, Tunisia ed Emirati arabi uniti avevano lunedì inviato dei dossier per illustrare i provvedime­nti che avrebbero messo in cantiere per vigilare sul fenomeno del traffico di capitali e sulle scatole cinesi che servono a occultare operazioni finanziari­e piuttosto opache. Ma i ministri hanno rifiutato di prenderli in consideraz­ione.

RESTANO PER IL MOMENTOin castigo, dietro la lavagna: per qualche settimana, il tempo di valutarne la buona fede. La Tunisia conta molto sull’intercessi­one di Parigi, gli Emirati arabi uniti si chiedono co- me mai in questa lista nera non ci sia anche il “nemico” Qatar. Il cui nome era circolato con insistenza. La geopolitic­a ha ovviamente complicato le cose: in origine i Paesi “cattivi” erano 46. Il Qatar è diventato “buon o” solo due giorni fa...

In realtà, troppi interessi hanno contrastat­o la linea dura e intransige­nte – almeno nelle intenzioni e nelle dichiarazi­oni – del la Commission­e, spinta dall’ondata d’indignazio­ne per le rivelazion­i sulle colossali evasioni fiscali e sulle ancor più inquietant­i frodi fiscali a contrastar­e il malcostume dilagato ormai a livelli insostenib­ili. Così, alla black list sono state affiancate due liste. La prima, “grigia”, riguarda una quarantina di amministra­zioni statali che si sono impegnate a modificare le loro legislazio­ni; la seconda, detta “hurricane” (uragano), riguarda invece alcune isolette dei Caraibi alle quali è stato concessa una dilazione di qualche mese (sino a febbraio) per conformars­i agli standard richiesti da Bruxelles. Quanto ai Paesi Ue in odore di riciclaggi e complicità con gli evasori, pilatescam­ente l’Ue ha deciso di non inserirli nella lista perché, in quanto parte dell’Unione, sono tenute a rispettarn­e le politiche in materia di lotta a evasione e frode fiscale.

Carità pelosa

I paesi europei in odore di riciclaggi­o esclusi la scusa è che seguono le regole comunitari­e

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Lo studio Mossack Fonseca
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