Il Fatto Quotidiano

ECCO PERCHÉ CAPPATO NON VA GIUDICATO

- » SELVAGGIA LUCARELLI

Ho visto Fabo due settimane prima del suo ultimo viaggio in Svizzera. Sono stata a casa sua, che poi era quella di sua mamma Carmen, per fargli un’intervista che uscì su Il Fatto . Ricordo che prima di suonare il citofono, quella mattina di febbraio, ero nervosa. Fuori dalle finzioni televisive sono emotiva, non sapevo come avrei gestito le emozioni, cosa avrei trovato in quella casa. Ve lo dico, quello che ho trovato in quella casa. E ci penso spesso in questi giorni, quando vedo le immagini di Marco Cappato nell’unico luogo in cui Marco Cappato non dovrebbe essere: quello del giudizio. In un’aula di tribunale. Lui che spende la sua esistenza per difendere chi chiede di non essere giudicato, per una scelta di libertà assoluta. Lui che chiede di spogliarsi del giudizio e di lasciare a chi vuole morire l’abito lindo della scelta. Ho visto la vita, in quella casa. Ho visto l’amore, attorno a Fabiano. C’era chi gli accarezzav­a i capelli, chi i piedi freddi. Chi gli aspirava la saliva. Chi traduceva le sue parole per me, che non ero allenata ad ascoltarlo. Ho visto sorrisi e commozione confonders­i e sovrappors­i. Non ho visto fatica, scoramento, afflizione, intorno a Fabiano. Ho visto vita. Ho visto le mani gentili e solerti di chi lo voleva lì e cercava di rendergli la vita tollerabil­e. Ho visto Cappato seduto in un angolo che ascoltava l’intervista, che quando Fabiano diceva “Io l’ho trovato chi mi ammazza, nessuno lo sa, lo pago e la faccio finita!” alzava gli occhi al cielo, mi diceva “Non lo scrivere, per favore...”. Ho vistoso lo amore. Nessuno l’ avrebbe lasciato andare, nessuno si sarebbe liberato di quell’ amorevole schiavitù. Era per Fabo, solo per lui, che non era più vita. E solo lui contava. Nessuno voleva lasciarlo andare, ma nessuno si riteneva più importante di lui. Del suo dolore per gli spasmi. Del suo desiderio di tornare a essere libero, un’ ultima volta. Perciò sì. Cappato è nell’unico posto in cui non dovrebbe essere. In un tribunale. Luogo di colpevoli e di innocenti. Di giudizi e di sentenze. Lui, proprio lui, che lotta perché ciascuno di noi possa decidere come morire.

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