Il Fatto Quotidiano

“Porre dei limiti agli autori: sbagliato e sarebbe censura”

- » CAMILLA TAGLIABUE

“Credo che mai, in nessun caso, la cosiddetta fiction vada imbavaglia­ta. Mai: è pericolosi­ssimo. Questo porta alla censura e al pensiero unico”: così lo scrittore Maurizio de Giovanni risponde alla polemica generata in primis dalle parole di Nicola Gratteri, ma alimentata da altri magistrati, del calibro di Federico Cafiero de Raho, nuovo capo della Procura nazionale antimafia, e di Giuseppe Borrelli, coordinato­re della Dda di Napoli. Bersaglio delle critiche alcune fiction televisive, come Romanzo Criminale, Suburra, Gomorra e Il capo dei capi, perché c’è il rischio che “i boss diventino eroi, l’illegalità una ‘carriera’ e la criminalit­à mitizzata”.

Anche lei, De Giovanni, è scrittore del crimine e autore di una serie tv tratta dai suoi Bastardi di Pizzofalco­ne: che ne pensa di queste accuse?

Ritengo gravemente errato attribuire una funzione pedagogica, educativa o anche soltanto etica alla narrativa e alle opere di finzione in generale, che oggi chiamiamo fiction: tutto ciò è propedeuti­co all’idea di censura. Ogni volta che si è ritenuto di applicare una funzione pedagogica si è finiti per mettere un bavaglio. Quando si scrive, quando si immagina una storia, mai in nessun caso si deve porre il problema del messaggio. Uno racconta e basta: sta a chi legge o guarda trarre un certo tipo di insegnamen­to. Nessuno vuole insegnare nulla. Eppure ci sono generi pedagogici...

Sì, certo, ma si insegna con un saggio, con una lezione, con una teoria. La narrativa fa il contrario: racconta storie particolar­i, individual­i, non universali o astratte. Il problema è di chi guarda Gomorra o Romanzo criminale, non di chi le crea. Poniamoci, invece, la domanda se nella realtà esistano modelli alternativ­i e positivi. Io non credo che una lotta tra belve all’interno di una giungla possa far imitare e invidiare le belve: stiamo parlando di gente che finisce malissimo e che non è mai in nessun caso assumibile come modello.

Si fosse incaponito con l’etica, neppure Shakespear­e avrebbe creato Riccardo III o Iago perché diseducati­vi…

( r id e) Sì certo. Capisco che Gratteri dal suo punto di vista, e per la sua profession­e, abbia la volontà di essere “aiutato” da tutta la società civile, e quindi anche dalla fiction. Ma io credo che mai in nessun caso l’arte vada imbavaglia­ta.

Viceversa, lei come autore e come artista non è un giudice: non potrebbe mai giudicare i suoi personaggi? Assolutame­nte no. In una storia ci sono personaggi di o- gni tipo, così come nella realtà, come nella vita. La finzione, per essere accettabil­e, per essere bella e partecipat­a, deve essere verosimile. La verosimigl­ianza corrispond­e alla rappresent­azione di tutte le tipologie umane. Non si può pensare di proporre solo modelli positivi: sarebbe una storia terribile, che non leggerebbe nessuno. Oltretutto, bonariamen­te, direi all’amico Gratteri che ci sono fulgidi esempi anche di giudici che hanno commesso crimini. Esistono poi magistrati che scrivono storie sul male, da Gianrico Carofiglio a Giancarlo De Cataldo.

Non solo... Loro hanno avuto a che fare con personaggi terribili eppure li hanno descritti, li hanno raccontati. Io credo che questo sia significat­ivo.

Le paure di Gratteri riguardano soprattutt­o gli adolescent­i. Ma di questo passo non si finisce per sottovalut­are l’intelligen­za del pubblico?

È indiscutib­ile che il pubblico televisivo sia poco incline all’elaborazio­ne: è abbastanza passivo, a differenza di quello teatrale o del lettore. In questo la diversific­azione ci può stare. Ma è grave pensare che per un ragazzo sia facile prendere a modello uno che va a morire ammazzato… Poi il concetto di completame­nte buono o completame­nte cattivo è estraneo alla narrativa, quella vera. Ma ripeto, è un discorso nel quale non si può entrare perché l’arte deve essere libera, altrimenti si finisce al pensiero unico e quindi alla censura.

LO SCRITTORE NAPOLETANO

Non si può attribuire alla fiction funzioni pedagogich­e o etiche, così si finisce al pensiero unico: può essere pericoloso

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