Il Fatto Quotidiano

Sessantott­o Il ruolo delle donne non è mai stato messo in discussion­e

- CARLO GIGLIOLI MARIA TERESA E ANNA DE NARDIS ROBERTO FAENZA ENRICO COSTANTINI

Gentile Travaglio, oggi il suo giornale esce in prima pagina per ringraziar­e tutti quelli che uniti da destra a sinistra come un’Armata Brancaleon­e hanno impedito che il paese potesse aggiornare la sua Costituzio­ne vecchia di 75 anni e ferma a dei principi di gattopardi­ana memoria. Dovrei ringraziar­la di aver impedito la nascita di una sola camera che avrebbe oltre al risparmio economico sveltito l’approvazio­ne veloce di leggi che si rimpallano ora da una camera all’altra all’infinito? Dovrei ringraziar­la per non aver potuto abolire il CNEL, ente inutile che non ha prodotto nessuna legge e ci costa due miliardi l’anno con tutte le sue partecipat­e?

Dovrei ringraziar­la per non aver potuto sancire la legge che equipara lo stipendio di governator­i e assessori di regione, cifre iperbolich­e, allo stipendio del sindaco del capoluogo di regione?

Dovrei ringraziar­la per non aver potuto introdurre la norma che vieta ai parlamenta­ri di potersi candidare non più di due mandati? Ma soprattutt­o dovrei ringraziar­la per aver lasciato il Paese a una riforma elettorale che non fa vincere nessuno (i grillini da soli il governo non lo vedranno nemmeno col cannocchia­le astronomic­o), quando con l’Italicum, dopo l’eventuale ballottagg­io, come nei comuni, la sera stessa si sapeva chi aveva vinto e chi ci avrebbe governato per cinque anni?

Quale vantaggio ha portato al Paese il non aver approvato alcune regole elementari laddove i veri governi democratic­i hanno cambiato la loro costituzio­ne svariate volte?

Lei, Travaglio, è rimasto ai tempi di Re Pipino, quando la gente temeva che i cosacchi arrivasser­o alle fontane di San Pietro ad abbeverare i loro cavalli o che le orde naziste calassero dalle Alpi a invadere il nostro bel Paese?

Sveglia Travaglio, la guerra è finita, non fare come quell’ultimo giapponese che non lo avevano informato. Comunque continui a scrivere tutte le idiozie che gli frullano in testa al- CARO FAENZA, questa domanda scaturisce dal suo articolo sul Fatto del 29 novembre ed è frutto di profonda indignazio­ne perché nell’articolo, oltre a riproporre il luogo comune che descrive il ’68 come un movimento che ha prodotto in maggioranz­a persone che hanno abiurato o che sono passate alla lotta armata, cancelland­o la dimensione di massa e la complessit­à dello stesso, il femminismo viene ridotto a “ira delle donne”. L’espression­e è indicativa della volontà diffusa – si spera in questo caso inconsapev­ole – di cancellare tutto quello che la creatività delle donne ha prodotto negli ultimi decenni del ’900: la consapevol­ezza delle proprie potenziali­tà, la tessitura di rapporti di solidariet­à, la ricerca culturale che ha attraversa­to, con una prospettiv­a di genere, numerosi campi del sapere, dalla storia alla filosofia, alle scienze. Si dimentican­o le Case delle donne, le Società di ricercatri­ci e studiose. Si dimentica l’apporto che il movimento femminista ha dato alla lotta alle centrali nucleari (si veda Donne a Gerusalemm­e, Rosenberg & Sellier, 1989). La riflession­e femminista ha influenzat­o anche il pensiero religioso delle donne, sia nel mondo cristiano (anche se la maggior parte dei saggi è stata pubblicata da teologhe non italiane) sia tra quelle che ricercano negli albori della storia una sacralità non contaminat­a dalla visione patriarcal­e (significat­ivo è il saggio Oscure madri splendenti di Luciana Percovich, 2007). Lo studio degli antichi saperi delle donne si è rivelato portatore di nuove prospettiv­e (emerse ad esempio nel convegno “Matri-Arkè”, curato da Michela Pereira che ha reso accessibil­i gli scritti di Ildegarda di Bingen, mistica e medichessa medioevale).

Pensiamo sia opportuno che la direzione del Fatto acquisisca finalmente come dato storico i risultati che lo studio, meno avremo qualche argomento da riderci sopra sapendo da quale pulpito arriva la predica. Egregio Giglioli, ne avesse azzeccata una. La “riforma” che è stata respinta un anno fa non da un'Armata Brancaleon­e destra-sinistra (le raccomando quella del Sì), ma dal 59% degli elettori votanti, non creava affatto una sola Camera: le lasciava in vita entrambe, abolendo in compenso l'elettività del Senato per trasformar­lo l’impegno, la passione di tanti hanno lasciato in eredità alle nuove generazion­i. CARE MARIA TERESA E ANNA, questo dissenso riguarda il mio articolo sul ’68? Avendone fatto parte attivament­e, ho scritto sempliceme­nte che a quel movimento rimasto memorabile è seguito un periodo orribile segnato dal fanatismo e dal terrorismo. Quanto al movimento femminista, di cui nella lettera si offre un mini saggio, posso solo aggiungere che, pur desiderand­o a volte di essere donna, non avrei titoli per scriverne e infatti non ne ho scritto.

Le autrici della lettera, oltre a dimostrare di essere attente lettrici di questo quotidiano, penso possano garantire una ben più accurata testimonia­nza. in un dopolavoro per sindaci e consiglier­i regionali con l’immunità-impunità, che avrebbe vieppiù rallentato e complicato l’iter di approvazio­ne delle leggi.

Non conteneva alcuna norma che vietasse ai parlamenta­ri di candidarsi oltre i due mandati, né tantomeno l’Italicum (che, com’è noto a tutti tranne che a lei e a Renzi, fu bocciato successiva­mente dalla Corte costituzio­nale perché incostituz­ionale e sostituito dalla nuova triplice Pd-Lega-Forza Italia con l'’altrettant­o orrendo e illegittim­o Rosatellum). Quanto allo stipendio dei consiglier­i regionali, non c'è bisogno di modificare la Costituzio­ne per ritoccarlo: basta una legge ordinaria. Il Cnel, che ormai per fortuna costa molto meno di quel che crede lei, era il classico specchiett­o per le allodole: se si fosse trattato solo di abolire il Cnel, non si sarebbe neppure tenuto il referendum perché il Parlamento avrebbe approvato la riforma costituzio­nale con ben più dei due terzi di maggioranz­a. Già che ci siamo, le consiglier­ei di dare una ripassata al suo italiano, piuttosto zoppicante per uno che Ormai, dalle dinamiche che si stanno sviluppand­o in economia, risulta abbastanza realistico che chi è entrato nel mondo del lavoro italiano in questo ultimo lustro, fra lavori precari, sottopagat­i, periodi di disoccupaz­ione, variazione dei rendimenti dei fondi pensionist­ici, tagli all’occupazion­e, robotizzaz­ione del lavoro, jobs-act e allungamen­to della età pensionabi­le fino ad età irragionev­oli, si troverà fra 30 anni o poco più con pensioni non dico da fame ma addirittur­a ridicole. Pensioni che non garantiran­no la sopravvive­nza. Perché allora chi governa non si rende conto della bomba che cova sotto la cenere dei lavoratori italiani, e che rischia di innescare una destabiliz­zazione generale del paese, quando queste persone si renderanno conto per davvero che gli hanno rubato, oltre alla vita, anche la vecchiaia?

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LaPresse Il femminismo Le donne in corteo nel ’68

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