SCALFARI STORDITO DALLE MALEFATTE DI B.
L’ultima performance di Eugenio Scalfari da Floris avrebbe meritato un’ eco più vasta. Non tanto per l’ ennesima cappellata nella quale è incorso (le sue de fa il lance culturali non fanno più notizia) quanto per il contesto argomentativo nel quale essa era inserita. La cappellata è consistita nel retrodatare di un paio di millenni la “scoperta” dell’autonomia della politica dalla morale, che la vulgata attribuisce a colui che è stato a lungo il segretario fiorentino per antonomasia (prima di essere spodestato proprio da un attuale beniamino pro tempore di Scalfari), attribuendola ai greci.
ORA, CHE UNA DISTINZIONE tra morale e politica i greci la facessero è dimostrato dal fatto stesso che le designavano con termini diversi, ma non per questo le ritenevano reciprocamente irrilevanti come ha sostenuto Scalfari. Avesse fatto il nome di Tucidide, ancora ancora… Invece ha chiamato in causa Platone e Aristotele, spiegando che “per Platone quelli che facevano la politica erano i filosofi.
Che cosa poi i filosofi facessero moralmente era un problema che né Platone né Aristotele prendevano in considerazione”. Nel bignamino di filosofia di Scalfari le pagine su Platone e Aristotele devono mancare. Come nessuno ( pardon: quasi nessuno) ignora, infatti, Platone, in linea con l’intellettualismo etico socratico, vuole i filosofi al governo dello Stato proprio (e solo) perché ritiene che, conoscendo il bene e il giusto, essi non possano non governare virtuosamente e secondo giustizia. E nemmeno Aristotele doveva essere tanto convinto della reciproca irrilevanza di morale e politica se per lui l’etica fa parte della politica, la quale ha di mira il bene comune.
Un velo pietoso su quanto Scalfari ha aggiunto a riprova dell’asserito amoralismo politico di Aristotele tirando in ballo il suo allievo Alessandro Magno che “della morale se ne fotteva nel più totale dei modi. Non a caso ha fatto un impero in cui andava a dormire con le varie imperatrici, se erano belle. Lui occupava il paese e poi di queste se ne faceva una ventina”. Una lettura pecoreccia della storia, alla luce della quale il grande Alessan- dro non sarebbe stato altro che un piccolo B. E in effetti era qui che Scalfari voleva andare a parare: alla riabilitazione di Berlusconi, anticipata già nella risposta alla prima domanda di Floris: “(Berlusconi?) Adeguato alla cosa pubblica lo è”. Qualunque cosa significhi, una dichiarazione di grande apprezzamento: quali che ne siano agli occhi dei perbenisti i vizi privati, le pubbliche virtù di Berlusconi non possono esserne offuscate.
ALTRO CHE l’apertura di credito implicita nella preferenza per Berlusconi rispetto a Di Maio dichiarata alcuni giorni prima! Sedici anni dopo, Scalfari smentiva l’Economist che a suo tempo aveva bollato Berlusconi come unfit to lead Italy, proclamandolo fit, perché non si devono trasformare in giudizi di carattere politico i giudizi, o magari i pregiudizi, di carattere morale. Come se da un quarto secolo in qua i giudizi negativi su Berlusconi abbiano avuto a oggetto esclusivo la sua morale privata, e in particolare la sua condotta sessuale, invece che la sua mancanza – come dire? – di moralità politica. Sotto il governo di Berlusconi, ha aggiunto Scalfari, le cose sono andate più o meno come sotto i governi precedenti. Vale a dire che il capo del triunvirato Berlusconi-Dell’Utri-Previti e, che so, un Ciampi per lui pari sono. Se la denuncia quotidiana delle malefatte (politiche) di Berlusconi venuta per vent’anni da Scalfari e dal suo giornale ha lasciato il campo alla scoperta della sua affidabilità (politica), oltre che alla sua riscoperta come delizia del genere umano, o Scalfari ha ragione ora, e dovrebbe vergognarsi di fronte a Berlusconi per come lo ha infangato, o aveva ragione prima, e dovrebbe vergognarsi di fronte a se stesso.
QUESTO RAGIONAMENTO è forse troppo schematico perché tertium datur . Scalfari potrebbe aver espresso sinceramente il proprio pensiero sia allora sia ora, solo che, non essendo un paracarro, ha subito un’evoluzione che lo porta a giudicare i fatti diversamente: quello che gli sembrava inammissibile ieri, gli sembra ammissibile oggi. Ma proprio questo suo passaggio dall’ant i- berl usconi smo all’anti-anti-berlusconismo dimostra la gravità di uno dei pericoli fin dall’inizio intravisti nel berlusconismo, e cioè che alla lunga determinasse un’assuefazione alle sue anomalie. Ecco, si è assuefatto perfino Scalfari! Nel quale il processo di mitridatizzazione ha avuto come catalizzatore, stando a quello che ha detto a Floris, il bisogno di governabilità. Più o meno quello che fece accettare a tanti non fascisti l’avvento del fascismo, nel cui regime poi parecchi di loro trovarono modo di integrarsi. C’è da augurare a Scalfari che non gli appaia mai in sogno qualcuno dei personaggi che abitano il suo pantheon privato, per esempio un Pertini col suo carattere fumantino. Sarebbe un notte agitata…