Il Fatto Quotidiano

La Procura scrive ai tedeschi “Arrestate i capi di Thyssen”

Dieci anni fa i 7 morti, nel 2016 le condanne definitive dai manager. Ma Berlino non li tocca

- » ANDREA GIAMBARTOL­OMEI

La Procura generale di Torino non molla il caso ThyssenKru­pp e attacca gli inspiegabi­li ritardi della Germania. A dieci anni dall’incendio e dopo ben cinque processi e una sentenza definitiva, i magistrati di Essen non hanno ancora deciso se arrestare Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz, manager condannati per l’omicidio colposo di sette operai morti dopo il rogo avvenuto tra il 6 e il 7 dicembre 2007. Così il procurator­e generale di Torino Francesco Saluzzo ha scritto nei giorni scorsi alle autorità tedesche una dura lettera di protesta chiedendo loro di rispettare gli accordi europei in materia di giustizia, secondo i quali una persona condannata in uno Stato può scontare la pena nel suo Paese adeguata alla durata prevista dal relativo codice penale. Insomma, i tedeschi non devono imbastire un nuovo procedimen­to, né mettere sotto accusa la giustizia italiana, ma eseguire una condanna seguendo le norme dell’Unione europea. E il pg Saluzzo proprio questo contesta con forza alla Germania: un’inerzia che ormai è imbarazzan­te.

DA ROMAsi è mosso anche il ministro della giustizia Andrea Orlando, sia in maniera diretta (il 12 ottobre ha parlato al suo omologo, Heiko Maas), sia attraverso i canali diplomatic­i: l’ambasciato­re a Berlino Pietro Benassi ha già incontrato a novembre il viceminist­ro della Giustizia Christiane Wirtz e continuerà a premere sulle autorità federal, mentre il console a Colonia Pierluigi Ferraro oggi incontrerà il ministro della giustizia del Nordreno-Westfalia. Con le autorità di Berlino vorrebbe parlare anche Rosina Platì, madre di Demasi: “Andremo là a parlare col governo tedesco che guardandoc­i negli occhi dovrà dirci perché non abbiamo ancora avuto giustizia”, annunciava lunedì.

Espenhahn e Priegnitz, ex componenti del Cda della Thyssen e tra i responsabi­li dei tagli alle spese sulla sicurezza dell’impianto torinese, sono gli unici condannati rimasti liberi dopo la sentenza della Cassazione del 13 maggio 2016 e non sconterann­o le pene stabilite dai giudici italiani, nove anni e otto mesi il primo e sei anni e tre mesi il secondo, ma al massimo sei anni, come previsto dal codice penale tedesco. Il calcolo sembra semplice, ma a Essen, dove c’è la sede del colosso dell’acciaio, prendono tempo. Il ministero della Giustizia da Roma aveva mandato la traduzione delle sentenze il 17 gennaio scorso e l’8 maggio le autorità tedesche avevano chiesto chiariment­i sulla presenza di Espenhahn e Priegnitz al processo: se condannati incontumac­ia, il loro arresto sarebbe stato più difficile. Da Torino, il sostituto procurator­e generale Vittorio Corsi ha risposto affermando che i due hanno preso regolarmen­te parte al processo e sono stati sottoposti all’esame dibattimen­tale il 4 novembre 2009, mentre nei due processi di appello non si sono mai presentati in aula, ma erano assistiti da avvocati nominati da loro. La risposta è stata mandata via mail a Essen il 1° giugno scorso e lì si sono interrotte le comunicazi­oni. Intanto il 19 ottobre la Cassazione ha bocciato anche l’ultimo ricorso fatto dagli avvocati dei due manager tedeschi che chiedevano una riduzione della pena.

Le toghe tedesche aspettavan­o questa ennesima sentenza e un documento che l’Italia aveva già inviato (con tanto di notifica dell’avvenuta consegna): “Stiamo anco- ra aspettando un documento che è stato chiesto alle autorità italiane – spiegava al Fatto Quotidiano la portavoce della Procura generale di Essen a fine ottobre –. Ci hanno informato che ci hanno già mandato i documenti mesi fa, ma sfortunata­mente non sono mai arrivati ai nostri uff i ci ”. A novembre il documento è arrivato e il fascicolo è ora al vaglio della corte distrettua­le. “Indigna il fatto che, complice l’in dif fer en za della giustizia tedesca, i principali responsabi­li di quella tragedia siano ancora liberi come se nulla fosse succ e ss o ”, ha denunciato ieri il presidente della Regione Piemonte Sergio C hi am pa ri no , all’epoca dei fatti sindaco di Torino. Sempre ieri il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha voluto ricordare le vittime: “Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò, Giuseppe Demasi: è giusto ricordare i loro nomi”, ha scritto in una nota.

La lettera

Il procurator­e generale Saluzzo protesta con i colleghi di Essen Mattarella ricorda le vittime

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Ansa Drappo nero alla Thyssen di Torino; sotto, i condannati Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz
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