Il Fatto Quotidiano

Le aziende non sono cattive: è l’algoritmo che le disegna così

- » ALESSANDRO ROBECCHI

“Il gatto mi ha mangiato i compiti” è una vecchia scusa che fa molto ridere, una barzellett­a da scuole elementari diventata un classico. Abbiamo oggi, nell’era modernissi­ma che attraversi­amo, il suo corrispett­ivo padronale: “È stato l’algoritmo”.

IL MONDO DEL LAVORO gira ormai su questo Moloch indecifrab­ile, dal suono un po’ fantascien­tifico e futurista, l’algoritmo che tutto può e tutto decide a vantaggio dell’azienda. Ora che le storie del lavoro degradato italiano si diffondono, spuntano fuori ogni giorno, ci rivelano l’offensiva inconsiste­nza di quel “fondata sul lavoro” che sta scritto nella prima riga della Costituzio­ne, monsieur l’Algoritmo fa la sua porca figura. Dietro quasi ogni storia spunta l’algoritmo, cioè un sistema di pianificaz­ione e controllo accuratiss­imo. Fai l’assistente di volo e non vendi a bordo abbastanza gratta e vinci, profumi, cosmetici? (RyanAir), ti cambiamo turno in senso punitivo. Un consiglio dell’algoritmo. La signora con due figli (uno disabile) chiede flessibili­tà e non riesce a rispettare certi turni? (Ikea). Spiacenti, i turni li fa l’algoritmo.

Tutto questo vale ogni giorno per migliaia di aziende, per mi- lioni di lavoratori. Quello che vi porta la pizza, quello che vi spedisce il pacco, o che guida per consegnarv­elo, quello che vi telefona per offrirvi un servizio e migliaia di altri, lavorano sotto un controllo millimetri­co, che segnala i dati a un programma, che può calcolarne la produttivi­tà, costi benefici. Scientific­o, impersonal­e. Quando le cose si fanno particolar­mente scanda- lose (i casi citati, e ogni giorno se ne affaccia uno nuovo alle cronache) compaiono solitament­e, via comunicato stampa, gli addetti alle relazioni esterne, che allargano le braccia e dicono: eh, è stato l’algoritmo. A volte lo dicono come se il corpo dell’azienda ne fosse posseduto, tipo la ragazzina de l’Esor-

cista che sputacchia e gira la testa di 360 gradi.

Dal punto di vista economico e sociale è il disastro che conosciamo: mini-lavori di faticoso sostentame­nto, altissima ricattabil­ità del lavoratore, mansioni inesistent­i (quando hai finito alla cassa del supermarke­t devi lavare i cessi, e infinite varianti), redditi sempre più bassi. Dal punto di vista culturale è forse peggio: per il lavoratore c’è una progressiv­a perdita di dignità. E da parte imprendito­riale c’è un’es tre ma s pe rs on al iz zazione, al punto quasi grottesco che si cedono responsabi­lità e schifezze alle macchine. È stato il sistema. Non sono cattivo, è l’algoritmo che mi disegna così. Il signore che prende i tempi in officina alle spalle del sontuoso Gian Maria Volonté de La classe operaia va in pa

radisoora te lo spacciano per l’inflessibi­le, ma – ahimé – scientific­o e imparziale, algoritmo. Una cosa moderna e bella da dire, fa fico, che spesso significa appli- care oggi una parola novecentes­ca come “cottimo”.

In tutto questo – ed è la cosa più strabilian­te – si alzano “ohhh” di stupore e meraviglia perché il Censis (rapporto annuale) dice che aumenta il rancore nella società. Ma va? Ma giura?

SCEMO IOche pensavo che invece essere licenziati, intermitte­nti, pagati due cipolle e un pomodoro, coi turni cambiati all’improvviso, niente ferie e niente malattia, inducesse nella popolazion­e un garrulo e soddisfatt­o buonumore. Ma sai proprio una gioia irrefrenab­ile? Invece no, invece c’è rabbia e rancore, chi l’avrebbe mai detto! Aggiunge il Censis questo rancore sarebbe una “rabbia repressa che non riesce più a sfogare nemmeno lungo le linee del conflitto sociale tradiziona­le”. Esatto, perfetto. Forse l’invenzione, la messa a punto, la taratura di un buon algoritmo dell’incazzatur­a potrebbe servire: proletari di tutto il mondo, fatevi anche voi un algoritmo. Così, quando la rabbia supererà certi limiti potrete allargare le braccia e dire: “Oh, è stato l’algoritmo, mica è colpa mia!”.

Licenziame­nti, turni punitivi per i lavoratori: quando le cose si fanno scandalose, basta dare la colpa alle macchine

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