Il Fatto Quotidiano

“Gomorra & C. sono serie diseducati­ve”. “No, il Male va narrato senza censure”

- » LUCIO MUSOLINO

Dal film Il Padrino a La Piovra, passando per Gomorra 3 – la serie e Il Capo dei capi. Sono anni che il procurator­e di Catanzaro, Nicola Gratteri, si batte contro quella che lui definisce “un’immagine stereotipa­ta e romanzata delle mafie”. Non gli va giù l’idea di “mafia ‘buona’che un tempo aiutava i bisognosi e non uccideva donne e bambini”. In questi termini la ’ndrangheta, Cosa nostra e la Camorra appaiono non come il cancro della società contro cui lottano magistrati e investigat­ori, ma come il frutto del “degrado economico- ambientale ”. Non è così per Gratteri, che spiega: “Chi produce un film o scrive un libro si deve però preoccupar­e di quello che è l’effetto sulla collettivi­tà”. Procurator­e, in queste settimane sta andando in onda la terza stagione di Gomorra - la serie. Lei su questo tema ha scritto anche un libro L’inganno della mafia. C’è veramente il rischio che il boss diventi un eroe?

Premetto che non voglio polemizzar­e con nessuno. Non punto il dito su quella o su questa serie televisiva. Per me la cinematogr­afia e la television­e fanno arte. Ma il senso dei film, dei docufilm e dei libri è quello di educare. Se, davanti alle scuole, vediamo ragazzi che si muovono, si vestono e usano le stesse espression­i degli attori e dei personaggi di questi film che trasmetton­o violenza su violenza, mi pare che il messaggio non sia positivo.

Quale messaggio viene lanciato allora?

Lo stereotipo, cioè quello di una“piovra” invincibil­e. Poco conta che le mafie oggi siano al centro di inchieste giudiziari­e che portano alla cattura dei boss, molto spesso costretti a subire pesanti condanne e a perdere le loro ricchezze.

In sostanza non c’è più la contrappos­izione tra il male e il bene. In television­e c’è spazio solo per il male e per il peggio?

Appunto. Il rischi odi emulazione è dietro l’ angolo. Negli ultimi tempi, dagli eroi positivi destinati alla sconfitta si è passati ai boss protagonis­ti di storie più o meno ispirate a fatti veri. Sullo schermo vediamo un mondo abitato da “paranze” assetate di sangue, senza alcun margine di redenzione. Alla fine, i personaggi positivi sono uomini di potere, uomini di parola e uomini che sanno imporsi. Ma sono sempre criminali. Non compaiono mai i picciotti costretti a vivere senza ricchezze, rischiando continuame­nte il carcere e subendo le angherie dei loro capi.

E chi lotta contro le mafie?

Passa quasi inosservat­o. Prima questi personaggi erano destinati alla sconfitta ma c’erano. Oggi in molti film e serie televisive non c’è spazio per chi lavora quotidiana­mente per assicurare alla giustizia boss e gregari della ’ndrangheta o delle altre organizzaz­ioni criminali. Molto spesso, i fatti vengono modificati per rispondere alle esigenze cinematogr­afiche e televisive.

Cosa deve fare chi, attraverso un film, una serie televisiva o un libro, decide di raccontare le mafie “dal di

dentro”?

Deve continuare a farlo. Ma all’interno dello stesso film o libro dovrebbe inserire qualcosa di alternativ­o, un messaggio che questi boss non sono invincibil­i e forti perché sommano violenza su violenza.

E come si fa a far comprender­e che cosa sono la ’ndragheta, la Camorra e Cosa nostra?

Lo vediamo ogni giorno con i nostri occhi. Dobbiamo cercare di andare nelle scuole per spiegare ai ragazzi che non si deve convivere con la delinquenz­a. Solo la cultura e le competenze possono dare ai giovani la possibilit­à di non cadere nelle tentazioni del malaffare. La scuola, la famiglia, le istituzion­i devono fare fronte comune. I mafiosi hanno più paura dei maestri elementari che delle manette. La conoscenza aiuta a fare scelte consapevol­i, a decidere da che parte stare.

IL PROCURATOR­E DI CATANZARO

Viene proposto lo stereotipo di una piovra invincibil­e, mentre i boss in realtà finiscono in galera

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