Implode il partito di Pisapia: “Impossibile allearsi col Pd”
Addio Campo Progressista si scioglie dopo il balletto sullo ius soli. L’ex sindaco annuncia il ritiro, gli ex Sel migrano verso Liberi e Uguali, Tabacci resta solo
Campo Progressista non esiste più. Ne dà il malinconico annuncio Giuliano Pisapia, il fondatore del piccolo movimento, autoproclamato federatore dell ’infederabile centrosinistra: “Ci abbiamo provato, per molti mesi, a costruire un centrosinistra in grado di battere destre e populismi. Oggi dobbiamo prendere atto che non siamo riusciti nel nostro intento”.
Pisapia s’arrende. L’accordo con il Pd non si può fare. Non è stata rispettata nemmeno la condizione minima: l’approvazione dello ius soli. È su questo tema che si è sbriciolato il campo dell’ex sindaco, diviso in due già dalla nascita. Da una parte i moderati di Centro democratico, il partitino di Bruno Tabacci e Mario Catania. Dall’altra la sinistra degli ex vendoliani Marco Furfaro, Filiberto Zaratti, Ciccio Ferrara. A metà del guado Massimiliano Smeriglio, vice di Zingaretti alla Regione Lazio.
SIAMO alla microbiologia politica, ma tant’è: appena avuta notizia del calendario del Senato – e della retrocessione dello ius soli all’ultimo posto – la sinistra del partito, per così dire, ha deciso che ne aveva abbastanza.
Pisapia si è precipitato da Milano a Roma per un ultimo tentativo di tenere insieme i pezzi. Negli incontri con i suoi è rimasto attonito ad ascoltare il confronto tra le due fazioni, poi ha preso atto dell’impossibilità di trovare una sintesi. Rapidamente come era venuto nella Capitale, se n’è tornato a nord, lasciando solo una nota in cui riconosce la sconfitta del suo ambizioso disegno politico. Cita Bertolt Brecht: “Chi combatte rischia di perdere, chi non combatte ha già perso. Campo Progressista ha combattuto, ma c’è un momento in cui le speranze di trasformare un progetto in realtà diventano irragionevoli illusioni. Questo è quel momento”. Pisapia indica il responsabile: il Pd renziano. “La decisione di calendarizzare lo ius soli al termine di tutti i lavori del Senato – dichiara – rendendone la discussione e l’approvazione una remota probabilità, ha evidenziato l’impossibilità di proseguire nel confronto con il Pd”.
Nel piccolo Campo progressista ora è liberi tutti: scrive Pisapia che “ognuno si muoverà secondo le proprie sensibilità”. Ovvero: gli ex Sel cercheranno asilo nel nuovo partito di Pietro Grasso, Liberi e Uguali. Si accoderanno a Laura Boldrini, già in procinto di raggiungere il presidente del Senato, una volta approvata la legge di bilancio.
Così Furfaro e gli altri torneranno dagli ex compagni di Sel, da cui si erano recentemente separati. La reazione è tiepida, fa sapere chi lavora con Nicola Fratoianni, ma le porte sono aperte: “Avevamo ragione, Campo progressista era un progetto campato per aria. Se ora qualcuno di loro vuole sostenere la lista di Liberi e Uguali ben venga”.
I “pisapiani” democristiani come Tabacci invece continueranno a orbitare attorno al Pd, cercando la formula per una lista civetta che si renda utile alle prossime elezioni (magari insieme ai rimasugli di Verdi e Socialisti). Improbabile, allo stato attuale, l’alleanza con Emma Bonino: oggi sarà ricevuta da Gentiloni, al quale chiederà di cambiare le norme sulla raccolta delle firme.
Tabacci potrebbe dare una mano: le forze già presenti in Parlamento (come il suo Centro democratico) sono esentate dall’obbligo di mettere insieme 750 firme per ogni collegio. Ma per ora tra Tabacci e Bonino non c’è nulla: “Non abbiamo mai nemmeno parlato di una lista con loro”, dichiara il radicale Riccardo Magi.
E PISAPIA? Agenzie e giornali online ne sanciscono il “ritiro” dalla scena. Lui in verità ha dichiarato solo che l’alleanza con il Pd è impraticabile.
L’epopea del federatore era iniziata esattamente un anno fa, il 7 dicembre 2016, con un’intervista a Repubblica (il principale sponsor della sua avventura): “Sono pronto a unire la sinistra fuori dal Pd – il titolo – e Renzi dialoghi con noi, basta Alfano e Verdini”. In questi 365 giorni vissuti pericolosamente, Pisapia ha fatto tutto e il suo contrario. Prima ha stabilito di essere “radical- mente alternativo” al Pd e ha gettato le basi di un partito con Bersani (il primo luglio a Roma hanno presentato “Insieme”). Poi ha rotto fragorosamente con i quasi alleati della sinistra: “Buona fortuna. Non credo nella necessità di un partitino del 3%” (8 ottobre). Prima ha dichiarato che “non sono accettabili veti personali, nemmeno su D’A l em a ” ( 2 maggio), poi gli ha intimato di farsi da parte: “D’Alema è divisivo, faccia un passo di lato” (4 ottobre). Prima ha dettato le condizioni per l’alleanza con Renzi: “Un listone che arriva fino ad Alfano sarebbe un incubo” (26 gennaio), “Se Renzi vuole una coalizione di cen-
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