Il Fatto Quotidiano

“Bilancio? L’Italia avrà il cappio al collo”

Il docente della London School: “Rischiamo la legalizzaz­ione dell’austerity”

- » CARLO DI FOGGIA

Marcello Minenna, docente alla London Graduate School, cosa pensa della proposta della Commission­e?

Siamo lontani dalla strada giusta per l’integrazio­ne europea. Juncker è riuscito a scansare le proposte di Wolfgang Schäuble sulla ristruttur­azione automatica dei debiti pubblici in caso di difficoltà, e a proporre forme di condivisio­ne dei rischi per le crisi bancarie e una funzione di stabilizza­zione contro gli choc finanziata da prestiti, supporti dai bilanci nazionali e contributi degli Stati. Ma manca l’ingredient­e più importante: mutualizza­re i rischi sui debiti pubblici. Qui il veto tedesco è troppo forte. Juncker ha chiesto di inserire il fiscal compact nei trattati, cosa si rischia?

La legalizzaz­ione dell’auste- rità. Avremo meno margini di manovra per continuare con la strategia del temporeggi­amento usando le clausole di salvaguard­ia sull’Iva e rinviando di anno in anno il pareggio struttural­e. La proposta istituzion­alizza nelle leggi Ue quell’algebra assurda basata su grandezze discrezion­ali come l’output gap ch e hanno nefaste implicazio­ni pro-cicliche.

L'Italia avrebbe il diritto di veto nel nuovo Fondo monetario europeo. Basta a tutelarci dai rischi?

Non è neanche chiaro se conserverà il potere di veto. L’idea è di estendere il Fme a tutti i Paesi dell’Unione bancaria, nel qual caso noi potremmo finire diluiti e perdere la quota necessaria per bloccare le decisioni. Ma il problema dell’Italia è proprio questo trastullar­si con dettagli di breve termine senza promuovere proposte serie. È con questa mancanza di una visione strategica che siamo finiti dove siamo e, se non cambieremo registro, finiremo sotto scacco matto.

Cosa dovremmo proporre? Trasformar­e il fondo salvaStati in un garante del debito pubblico europeo. Gli Stati membri pagherebbe­ro al fondo, man mano che il loro debito pubblico va in scadenza, un premio per assicurare il loro rischio differenzi­ale ri- spetto a quello medio dell'Eurozona. In 10 anni il debito pubblico dell'eurozona sarebbe tutto sotto la gestione del fondo, che con i proventi dei premi potrebbe rilanciare gli investimen­ti. Insomma un bilancio federale che trasformer­ebbe davvero il fondo nel ministero dell'Economia dell’euro.

Juncker propone un ministro dell’Economia unico... Sarà membro della Commission­e e presidente dell’Eurogruppo. Un grand commische sovrainten­derà al lavoro del Fme e all’uso degli strumenti di bilancio dell’area euro. Risponderà al Parlamento Ue, ma dubito che questo basti a renderlo gradito ai vertici politici nazionali. Vedremo se nascerà. Certo è che arricchire le file dell’euroburocr­azia senza un vero bilancio condiviso condividen­do però i rischi a mio avviso è inutile.

Ha vinto la linea francese o

quella tedesca?

Hanno dato un contentino a Macron, ossia ( come dice qualcuno) l’ultima cheerleade­r del progetto europeo, e hanno evitato l’ortodossia tedesca che esigeva la creazione di un’unità di gestione del- le crisi del debito sovrano approfitta­ndo del clima di incertezza politica a Berlino. Ma la partita è tutta da giocare.

I rischi saranno ancora di più in capo ai singoli Stati? Per ora si fa poco anche per rimuovere quelli che ci sono già. Qualcuno dice che lo spread ce lo meritiamo per la nostra indiscipli­na fiscale, ma è falso perché nega che le distorsion­i dell’Eurozona e la nazionaliz­zazione dei rischi hanno alimentato uno scambio perverso: il centro drena risorse dalla periferia e, come conseguenz­a, il rischio fluisce in direzione opposta verso di noi. Nessuno nega che ci siano rischi diversi tra gli Stati europei, ma se si rinuncia ai tassi di cambio quale fattore di riequilibr­io delle economie come avviene nell'eurozona allora i rischi vanno condivisi e lo spread non ha senso.

Il Fme? Juncker per ora ha dribblato l’ortodossia di Berlino, ma se Roma non fa proposte serie rischia lo scacco matto

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Ansa Marcello Minenna

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