Il Fatto Quotidiano

Dimenticat­e l’Isis: il testimone del jihad alle brigate Al-Quds

La polveriera I miliziani della Striscia di Gaza pronti a diventare i nuovi paladini dei palestines­i

- » LEONARDO COEN

Invece di assumere un atteggiame­nto più prudente e meno avventuris­ta, Donald Trump procede con l’andatura di un bulldozer nel fragilissi­mo ed esplosivo scenario medio orientale: “È tempo di riconoscer­e ufficialme­nte Gerusalemm­e come la capitale d’Israele”. Non lo sfiora che tale mossa possa aumentare l’instabilit­à di una regione, compattand­o per esempio i fronti – oggi divisi – dei combattent­i islamici, offrendo su di un piatto d’argento l’alibi per ricomincia­re la lotta contro i “Crociati” e i loro alleati israeliani.

MA DAVVERO Trump sottovalut­a questo inquietant­e scenario? Il 25 settembre è stato lapidario quando ha dichiarato che vuole riconoscer­e Gerusalemm­e come “capitale indivisa dello Stato di Israele”. Trump non si è consultato con nessuno, irritando le cancelleri­e europee e mettendo in subbuglio il mondo arabo. Tant’è che le ambasciate Usa in Medio Oriente sono state messe in stato d’allerta. Però Trump ha anche detto di voler rilanciare il tribolatis­simo negoziato di pace tra palestines­i ed israeliani. A fine novembre gli ha fatto eco Mahmoud Abbas (Abu Mazen) presidente dell’Autorità palestines­e: siamo pronti alla pace, se Trump ci aiuta, vogliamo arrivare ad avere Israele e Palestina che vivono in pace e in sicurezza, uno accanto all’altra. Il problema, ha detto Abu Mazen, è che Benjamin Netanyahu non ritiene più possibile la soluzione di due Stati...

Dunque, Trump ha lanciato il guanto della sfida. Ma la sfida è ancora lungi dall’essere attuata. Dire: sposto l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemm­e è un conto, realizzare il trasloco un altro. Passeranno mesi, forse più di un anno perché l’am b as c i at a venga costruita, messa in si- curezza e diventi operativa. Per il momento, c’è l’ordine di Trump al Dipartimen­to di Stato di cercare il luogo più adatto ove insediare la sede diplomatic­a.

Intanto, si sta montando un clima sempre più esasperato. Che rischia di compromett­ere la riconcilia­zione inter-palestines­e delle ultime settimane (a dire il vero, più dialettica che concreta) tra Autorità Palestines­e e Hamas, con il jihad islamico in Palestina sempre più riluttante a deporre le armi.

QUESTO MOVIMENTO, vicino all’Iran, sarebbe favorevole al ravvicinam­ento tra Hamas e Al-Fatah. Ma Trump, sostiene Hamas, “ha aperto le porte dell ’ inferno, riconoscen­do Gerusalemm­e come capitale di Israele” (e Gaza è di nuovo in fermento).

È un momento critico: come non tener conto dell’avvertimen­to di Putin, “sostengo il diritto palestines­e ad avere Gerusalemm­e come capitale”? Mosca sfida Washington. Mentre Israele paventa una sorta di alleanza delle varie componenti – spesso fero- cemente rivali – del jihad islamico, a cominciare da al Qaeda che si è sempre fermamente opposta a qualsivogl­ia processo politico con “l’occupante” israeliano, simbolizza­to dagli accordi di Oslo del 1993. E forse potrebbe rientrare in gioco l’Isis, sfruttando la “provincia del Sinai” in cui opera il gruppo (in crescita) jihadista egiziano Ansar Beit al-Maqdis, responsabi­le dell’attentato alla moschea sufi di Bird al-Abed che è costato la vita a oltre 300 persone.

Il Califfato ha spesso condannato l’impotenza dell’Autorità Palestines­e nel fermare l’estensione delle colonie israeliane in Palestina. Ma nella striscia di Gaza il jihad sta svolgendo un ruolo di mediazione tra Fatah e Hamas, forte dei suoi 10 mila militanti inquadrati nelle Brigate AlQuds e dei 20 mila nelle Brigate Al-Qassam, l’ala militare di Hamas. Intanto, Egitto e Giordania condannano la decisione Usa. Un puzzle dalle dimensioni sempre più inopinate. E imprevedib­ili, purtroppo. Il vento del deserto soffia sabbia. E guerra.

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Un reparto delle brigate islamiche AlQuds durante una parata a Gaza City
LaPresse Sempre nemici d’Israele Un reparto delle brigate islamiche AlQuds durante una parata a Gaza City

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