Il Fatto Quotidiano

“Basta definirla migrazione Questa è una vera diaspora”

NUOVE PAROLE Lo scrittore messicano, in Italia alla Fiera della media e piccola editoria di Roma, in questo testo inedito spiega perché è il momento di aggiornare il vocabolari­o

- » EMILIANO MONGE

Non c’è una sola frontiera tra il cosiddetto primo mondo e il resto del nostro pianeta in cui non stia accadendo, proprio ora, mentre lei legge queste parole, una tragedia. Una enorme tragedia umanitaria. Prima che lei abbia finito di leggere questo paragrafo, un essere umano, il cui unico peccato è stato nascere lì dove il grande capitale mette in atto l’ultima delle sue guerre – una guerra al rallentato­re che agli eserciti nazionali ha sostituito omuncoli del business internazio­nale, e ai caschi blu, funzionari della Banca Mondiale – sarà rapito, sparirà o verrà assassinat­o.

E MENTRE lei legge quest’altro paragrafo, il corpo di questa donna o uomo appena rapiti, scomparsi o assassinat­i, o il corpo di un altro uomo o donna, sequestrat­o, scomparso o assassinat­o un’ora, un giorno, o una settimana fa, finirà col diventare nessuno, o peggio, niente. La sua destinazio­ne finale sarà una fossa comune, un oceano agitato, una pila di corpi seccati al sole e mangiati dai rapaci. Questi paragrafi le sembrano forti? Le sembra, forse, che stiamo esagerando? Le dà fastidio che, dal niente i suoi occhi debbano leggere ciò che la sua coscienza non voleva vedessero, che la sua mente debba vedere, all’improvviso, ciò che non avrebbe dovuto neanche immaginato? Può darsi che i numeri la aiutino a non sentirsi solo: perlomeno questi. Settantami­la: tanti sono i salvadoreg­ni spariti nel mio paese negli ultimi 10 anni, secondo l’Associazio­ne dei familiari dei salvadoreg­ni scomparsi in Messico. E attraverso il Messico, che si sappia, hanno provato ad arrivare negli Stati Uniti, in questi stessi dieci anni, donne e uomini dell’Honduras, del Guatemala, del Nicaragua, di Haiti e di Cuba – questi ultimi, soprattutt­o a partire dalla cancellazi­one della Ley Pies Secos, pies Mojados. Inoltre, in quest’ultimo lustro, a questi immigrati latinoamer­icani si sono sommati quelli senegalesi, camerunesi, del Mali, del Congo e della Somalia, ai quali la crisi economica europea ha chiuso le porte di questo Continente – stando ai dati dell’Agenzia Mi- gratoria messicana, ogni cinque settimane, arrivano in Messico 12 mila migranti africani, cioè 115 mila duecento uomini e donne l’anno –.

Quest’ultimo dato le sembra impression­ante? Pensi che l’immigrazio­ne africana, nonostante la crisi europea e i conflitti nell’est del continente, continua a confluire soprattutt­o dal Mediterran­eo e dal Corno d’Africa, attraverso cui si cerca di raggiunger­e le monarchie arabe del petrolio. Ma se non le dovesse impression­are il numero, pensi allora che tutti quegli uomini e donne, cioè che tutti quegli esseri umani che lo compongono sono storie di un successo: sono quelli che sono riusciti ad arrivare da qualche parte e che lì sono stati contati.

RIESCE A CREDERCI? Riesce a credere che “successo” significhi arrivare a essere contato, diventare un numero, non aver smesso di essere, non essere scomparso nella prima parte del tragitto? E dico la prima parte perché a tutti questi uomini e donne ancora resta da attraversa­re il suolo messicano: sono stati contati, ridotti a numero nel Sud, a Taopachula. Cosicché, tra loro e il posto a cui anelano: gli Usa, ancora si frappongon­o vari chilometri di selva, montagna, bosco e deserto. Varie migliaia di chilometri nei quali, a qualsiasi ora, proprio ora, per esempio, mentre lei sta leggendo quest’ultimo paragrafo, altri uomini e donne, di fronte all’incompeten­za, il beneplacit­o e la complicità delle autorità, possono essere rapiti, fatti prostituir­e, schiavizza­ti, trasformat­i in sicari, violentati, assassinat­i o scomparire.

Varie migliaia di chilometri nei quali, proprio ora, mentre lei sta leggendo: in questo stesso momento, possono essere buttati i loro corpi senza vita, senza nome, senza diritti, senza identità e senza storia, in una fossa comune clandestin­a.

E il Messico, che si sappia, è solo uno dei tanti territori che le centinaia di migliaia di migranti attraversa­no nel mondo. E mai prima, come oggi, la nostra specie aveva migrato tanto e in questo modo. Perciò il termine migrazione non basta. Ciò che sta accadendo è una diaspora: non si tratta di individui, si tratta di interi popoli: vere comunità che cercano di muoversi da un posto all’altro alla ricerca non della sopravvive­nza individual­e, ma di quella collettiva.

Non si tratta soltanto di individui, ma di intere comunità che si muovono alla ricerca della sopravvive­nza collettiva

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