Il pollo che si credeva un’aquila
Ora che evaporano pure i suoi due ultimi alleati Pisapia e Alfano, già peraltro ridotti allo stato gassoso, Renzi è riuscito definitivamente a dimostrare la scientificità del teorema di Carlo M. Cipolla. Quello che divideva gli esseri umani in quattro categorie: gli intelligenti, che avvantaggiano sia se stessi sia gli altri; gli sprovveduti, che danneggiano se stessi e avvantaggiano gli altri; i banditi, che danneggiano gli altri per avvantaggiare se stessi; e gli stupidi, che danneggiano sia gli altri sia se stessi. E lui, ovviamente, appartiene alla quarta categoria, cui fece ufficialmente domanda d’iscrizione un anno fa, dopo la disfatta referendaria.
1) Appena perso il referendum, il Genio di Rignano sull’Arno si rimangiò subito il solenne impegno di lasciare la politica e ritirarsi a vita privata: se l’avesse fatto, dedicandosi al8lo studio, all’autocritica e alla formazione di una classe dirigente, avrebbe persino potuto avere un futuro. Specie in quel campo di Agramante che è da sempre la sinistra italiana, capace solo di litigare, dividersi e scindersi in microrganismi sempre più invisibili. Bastava lasciar fare gli altri presunti leader che, tempo un paio d’anni, sarebbero riusciti a far dimenticare i suoi disastri, poi si sarebbero recati in pellegrinaggio a Pontassieve per implorarlo di tornare. Invece restò abbarbicato alla poltrona del Nazareno, con i bei risultati a tutti noti.
2) Quando nacque il governo Gentiloni, Renzi pretese di infilarci i fedelissimi Lotti & Boschi per far la guardia al bidone. Il primo fu subito inquisito per le soffiate sull’inchiesta Consip. La seconda iniziò a impicciarsi in tutti i dossier, soprattutto bancari, aggravando l’olezzo di conflitto d’interessi etrusco.
3) Dopo avere sterminato tutti i possibili alleati del centrosinistra a colpi d’insulti e arroganza, e avere spinto a viva forza fuori dalla porta i bersaniani, in nome della presunta “vocazione maggioritaria” del Pd, mandò a picco una legge elettorale che premiava i partiti single come il suo: quella tedesca, pur riveduta e corrotta all’italiana con nominati e voto congiunto. E ne dettò una opposta, affidata per giunta a quel gran genio di Rosato: quella che premia le coalizioni. Il tutto per decimare il M5S e tornare fra le braccia di B., che l’aveva già fregato sulla riforma costituzionale e l’Italicum (prima firmati, poi rinnegati) e ora si appresta a gabbarlo un’altra volta. Del Rosatellum infatti l’unico beneficiario è B.: da solo vale poco o nulla, ma sommato agli alleati Salvini e Meloni, può vantare financo il primo posto sul podio.
Noi, lo ammettiamo, s’è sempre stati storicisti e pure inclini a una certa dose di cinismo nel considerare i fatti della politica, cioè la gestione del potere in un dato contesto di rapporti di forza: una cosa tipo “Il Papa? Quante divisioni ha?” con cui Stalin liquidò alcuni dubbi vaticani o il non elegante “voi contate come un pelo dei miei cogl...” col quale il capo comunista Pietro Secchia replicò alle perplessità del giovane azionista Giorgio Bocca. Non siamo dunque stupiti che nelle vecchie come nelle recenti “par- tite europee” (Fiscal compact, Ema, Eurogruppo...) l’Italia abbia contato come il pelo di Secchia. Dovendo scendere nell’aneddotica però, all’antropomorfizz azione favolistica del concetto scelta dai più( La Stampa di ieri :“La Francia si finge amica, ma contrasta l’Italia”), preferiamo il ruolo della vecchia, cara “percentuale sigma” di Carlo Maria Cipolla. Ad esempio, chi tratta per l’Italia in Europa? Sandro Gozi, sottosegretario con delega all’Ue, allevato allo scopo da Romano Prodi. I suoi successi di oggi, dicia- mo, stanno tutti in un racconto di ieri. Era il 2007, il Professore era a Palazzo Chigi e tentava di staccare la Lega da Berlusconi offrendo federalismo fiscale e un po’ d’autonomia al Nord. A trattare con Umberto Bossi fu inviato Gozi: il senatùr se ne andò subito, bofonchiando “Ma chi m’ha mandato? Un fioeu de l’uratori? ” (non si convinse, per così dire, della statura politica dell’interlocutore). La politica e il potere hanno infatti le loro ragioni, ma il destino un’animaccia porca non disgiunta dal gusto per il simbolismo.