Primo giorno di rabbia Mondo arabo in piazza contro Donald Trump
Intifada nei Territori occupati. Anche il Papa critica la scelta di Trump su Gerusalemme. Oggi riunione del Consiglio di sicurezza
Èil risveglio della rabbia e delle coscienze. Dell’odio di strada dei palestinesi che lanciano pietre e incendiano bandiere americane e israeliane e del disappunto dei leader del mondo che la decisione di Trump su Gerusalemme ha compattato in un coro unico dalle sfumature mai troppo dissimili. Così mentre oltre cento feriti degli incidenti che si accendono con l’intervento dell’esercito israeliano finiscono negli ospedali della Cisgiordania, Putin, Erdogan, il Papa, Amnesty international, e tanti altri leader e istituzioni, criticano pesantemente l’annuncio del presidente americano di iniziare a costruire tra sei mesi la nuova ambasciata Usa a Gerusalemme, dandole lo status di capitale dello Stato di Israele. C’è in ballo “la stabilità regionale”, monitano in un colloquio telefonico il presidente russo e quello turco, fino all’altro ieri tornato buon alleato degli israeliani e ora alla guida della protesta mediorientale contro Washington e Gerusalemme.
Guarda ben più ad altezza d’uomo che di geopolitica il parroco di Ramallah, capitale dell’entità statale palestinese: “Dopo 50 anni di occupazione militare, è arrivato il tempo di mettere fine a questa occupazione, cominciare a fare giustizia e lasciare i palestinesi vivere in pace nel loro Stato indipendente”, dice alla tv dei vescovi italiani padre Jamal Khader, sintetizzando bene la posizione della Chiesa cattolica, una delle religioni che considera santa la Città Vecchia confine tra Gerusalemme Ovest (israeliana) e Gerusalemme Est (araba) annessa dallo Stato ebraico nel 1967.
IL CONSIGLIO DI SICUREZZA Onu è stato convocato per una riunione di emergenza, mentre la Lega araba (strumento politico-diplomatico pressoché in disuso in questi anni di “primavere arabe”) farà lo stesso domani. Intanto l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) chiederà alle Nazioni Unite di delimitare i confini di Gerusalemme Est in base alle frontiere precedenti alla Guerra dei 6 giorni del 1967.
Non hanno superato i confini di Gaza i due razzi lanciati da una fazione indipendente contro Israele (che ieri sera ha condotto in risposta operazioni contro postazioni di Hamas) nonostante il gruppo che controlla la Striscia litoranea palestinese avesse chiesto di evitare provocazioni nel primo dei “tre giorni della rabbia” proclamati. La giornata più sensibile è oggi, venerdì di preghiera e di certo le proteste assumeranno proporzioni ancora maggiori.
LA RISPOSTA UNANIME contro l’annuncio trumpiano rinsalda il mondo islamico e riporta in auge la causa palestinese tanto da appianare almeno in queste ore nel nome della protesta le distanze tra paesi arabi e addirittura tra sunniti e sciiti: anche Hezbollah (il partito di Dio libanese foraggiato dalla teocrazia sciita iraniana) ha annunciato per lunedì una giornata di sollevazione.
Nessun paese occidentale ha intenzione di seguire l’esempio degli Stati Uniti: a iniziare dal Canada in molti hanno escluso lo spostamento delle ambasciate da Tel Aviv, anche se il premier israeliano Netanyahu si è detto certo che “altri seguiranno l’esempio di Trump”.