Il “Dream Team” di Giuliano evapora in direzione Grasso
La gioiosa macchina da guerra di Giuliano Pisapia ha orientato il dibattito pubblico sulla sinistra italiana per un anno intero: dal 7 dicembre 2016, giorno della “discesa in Campo Progressist a” al 6 dicembre 2017, giorno dell’addio alle scene con citazione di Brecht (“Chi combatte rischia di perdere, chi non combatte ha già perso”). Pisapia ha combattuto soprattutto contro se stesso: è stato vicino a Bersani ma lontano da D’Alema; di sinistra-centro e di centro-sinistra; alternativo a Renzi e alleato di Renzi; ha preteso la rinuncia ad Alfano e si è arreso nel giorno in cui Alfano ha rinunciato. Il suo Campo Progressista è – anzi era – “un partitino da 0,2%”, secondo un sms a Renzi del pisapiano Ciccio Ferrara. Ma con questa squadra improbabile, l’avvocato milanese ha occupato stabilmente le pagine politiche, specie sui giornali del suo vecchio cliente Carlo De Benedetti.
I DEMOCRISTIANI. Le generose labbra di Bruno Tabacci hanno regalato ai cronisti infiniti retroscena sulle scelte di Pisapia, che il povero Pisapia era costretto a smentire all’indomani. Lo stato di dissociazione dell’ex sindaco era in parte causato dai suoi numerosi ventriloqui: da una parte gli ex Dc come Tabacci e Mario Catania, dall’altra “la sinistra” del Campo, di Marco Furfaro e Ferrara. Tabacci si è speso fino all’ultimo per l’alleanza con Renzi. È stato sconfitto. Proverà a consolarsi con una lista civetta da impastare (forse) con Verdi, Socialisti, Idv e altri cespugli.
I REGALI DI BRUNO. Il contributo di Tabacci non si ferma qui: col suo micro partito (Centro democratico) ha portato in dote a Pisapia personaggi notevolissimi come Angelo Sanza e Michele Pisacane. Il primo, icona democristiana della prima Repubblica: parlamentare in 10 legislature, pluripoltronato nei governi Andreotti, Cossiga, Forlani, Spadolini, Fanfani, Goria e De Mita; plurinquisito (mai condannato) negli anni di Tangento- poli. Il secondo, ex mastelliano e “responsabile” berlusconiano nell’epoca dei Razzi e Scilipoti. Già sindaco di Agerola (Napoli), fuoriclasse delle preferenze in patria – per calcoli personali le portò anche a un candidato leghista –, condannato per peculato. Con la scomparsa di Pisapia, restano nella scuderia di Tabacci: non dovranno più far finta di essere (nemmeno un po’) di sinistra.
I COMPAGNI. Nello stesso spazio angusto di Tabacci, Sanza e Pisacane, sgomitavano pure Ciccio Ferrara, Marco Furfaro, Michele Ragosta, Filiberto Zaratti, Massimiliano Smeriglio. Tutti provenienti da Sel, tutti in fuga dal partito di Fratoianni, tutti con biografie “di sinistra” da bagnare nello stagno arancione di Pisapia. Per esempio Ferrara, già sindacalista Fiom e coordinatore del partito di Vendola, è passato alle cronache come messaggiatore seriale: la trattativa fallita per l’annessione al Pd è stata scandita dagli sms a Renzi, Guerini, Fassino. Molti di loro proveranno a farsi riaccogliere dai compagni ripudiati di Sinistra Italiana, ora alla corte di Grasso in “Liberi e Uguali”. Smeriglio però frena: “La novità della rinuncia di Alfano ci deve far riflettere, prendiamoci qualche giorno”.
SENATORI IMMAGINARI. Nella squadra di Pisapia c’era pure il giovane portavoce Alessandro Capelli. Il quale ha rischiato di perderli – i capelli – a causa dell’ingrato mestiere. Che spesso consisteva nel vergare le scomuniche ai “finti pisapiani”. Proprio così: tra le peculiarità del partito di Pisapia c’era pure un drappello di senatori che annunciavano fedeltà all’ex sindaco nelle votazioni più delicate e divisive. Di loro, però, Pisapia non sapeva nulla. Sono gli ex Sel Stefàno e Uras, gli ex grillini Orellana, Molinari, Bencini e Romani. Si firmavano “Campo Progressista”, poi arrivava Capelli: “Non esistono senatori pisapiani”. Uras c’è rimasto male: “Capelli è un gran maleducato”. Lui e Stefàno, insieme a Massimo Zedda, hanno già un accordo con Renzi.