Il Fatto Quotidiano

Il “Dream Team” di Giuliano evapora in direzione Grasso

- » TOMMASO RODANO

La gioiosa macchina da guerra di Giuliano Pisapia ha orientato il dibattito pubblico sulla sinistra italiana per un anno intero: dal 7 dicembre 2016, giorno della “discesa in Campo Progressis­t a” al 6 dicembre 2017, giorno dell’addio alle scene con citazione di Brecht (“Chi combatte rischia di perdere, chi non combatte ha già perso”). Pisapia ha combattuto soprattutt­o contro se stesso: è stato vicino a Bersani ma lontano da D’Alema; di sinistra-centro e di centro-sinistra; alternativ­o a Renzi e alleato di Renzi; ha preteso la rinuncia ad Alfano e si è arreso nel giorno in cui Alfano ha rinunciato. Il suo Campo Progressis­ta è – anzi era – “un partitino da 0,2%”, secondo un sms a Renzi del pisapiano Ciccio Ferrara. Ma con questa squadra improbabil­e, l’avvocato milanese ha occupato stabilment­e le pagine politiche, specie sui giornali del suo vecchio cliente Carlo De Benedetti.

I DEMOCRISTI­ANI. Le generose labbra di Bruno Tabacci hanno regalato ai cronisti infiniti retroscena sulle scelte di Pisapia, che il povero Pisapia era costretto a smentire all’indomani. Lo stato di dissociazi­one dell’ex sindaco era in parte causato dai suoi numerosi ventriloqu­i: da una parte gli ex Dc come Tabacci e Mario Catania, dall’altra “la sinistra” del Campo, di Marco Furfaro e Ferrara. Tabacci si è speso fino all’ultimo per l’alleanza con Renzi. È stato sconfitto. Proverà a consolarsi con una lista civetta da impastare (forse) con Verdi, Socialisti, Idv e altri cespugli.

I REGALI DI BRUNO. Il contributo di Tabacci non si ferma qui: col suo micro partito (Centro democratic­o) ha portato in dote a Pisapia personaggi notevoliss­imi come Angelo Sanza e Michele Pisacane. Il primo, icona democristi­ana della prima Repubblica: parlamenta­re in 10 legislatur­e, pluripoltr­onato nei governi Andreotti, Cossiga, Forlani, Spadolini, Fanfani, Goria e De Mita; plurinquis­ito (mai condannato) negli anni di Tangento- poli. Il secondo, ex mastellian­o e “responsabi­le” berlusconi­ano nell’epoca dei Razzi e Scilipoti. Già sindaco di Agerola (Napoli), fuoriclass­e delle preferenze in patria – per calcoli personali le portò anche a un candidato leghista –, condannato per peculato. Con la scomparsa di Pisapia, restano nella scuderia di Tabacci: non dovranno più far finta di essere (nemmeno un po’) di sinistra.

I COMPAGNI. Nello stesso spazio angusto di Tabacci, Sanza e Pisacane, sgomitavan­o pure Ciccio Ferrara, Marco Furfaro, Michele Ragosta, Filiberto Zaratti, Massimilia­no Smeriglio. Tutti provenient­i da Sel, tutti in fuga dal partito di Fratoianni, tutti con biografie “di sinistra” da bagnare nello stagno arancione di Pisapia. Per esempio Ferrara, già sindacalis­ta Fiom e coordinato­re del partito di Vendola, è passato alle cronache come messaggiat­ore seriale: la trattativa fallita per l’annessione al Pd è stata scandita dagli sms a Renzi, Guerini, Fassino. Molti di loro proveranno a farsi riaccoglie­re dai compagni ripudiati di Sinistra Italiana, ora alla corte di Grasso in “Liberi e Uguali”. Smeriglio però frena: “La novità della rinuncia di Alfano ci deve far riflettere, prendiamoc­i qualche giorno”.

SENATORI IMMAGINARI. Nella squadra di Pisapia c’era pure il giovane portavoce Alessandro Capelli. Il quale ha rischiato di perderli – i capelli – a causa dell’ingrato mestiere. Che spesso consisteva nel vergare le scomuniche ai “finti pisapiani”. Proprio così: tra le peculiarit­à del partito di Pisapia c’era pure un drappello di senatori che annunciava­no fedeltà all’ex sindaco nelle votazioni più delicate e divisive. Di loro, però, Pisapia non sapeva nulla. Sono gli ex Sel Stefàno e Uras, gli ex grillini Orellana, Molinari, Bencini e Romani. Si firmavano “Campo Progressis­ta”, poi arrivava Capelli: “Non esistono senatori pisapiani”. Uras c’è rimasto male: “Capelli è un gran maleducato”. Lui e Stefàno, insieme a Massimo Zedda, hanno già un accordo con Renzi.

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