Il Fatto Quotidiano

Mussari assolto in appello Crac Mps, storia da rifare

Caduta l’accusa di ostacolo alla vigilanza, il derivato Alexandria non era stato nascosto a Palazzo Koch

- » GIORGIO MELETTI Twitter@giorgiomel­etti

La sentenza di ieri è una svolta nella storia delle crisi bancarie e peserà sulla Commission­e parlamenta­re d’inchiesta presieduta da Pier Ferdinando Casini. L’ex presidente del Monte dei Paschi Giuseppe Mussari, l’ex direttore generale Antonio Vigni e l’ex capo della finanza Gianluca Baldassarr­i sono stati assolti dalla Corte d’appello di Firenze dall’accusa di ostacolo alla vigilanza. L’accusa aveva chiesto per l’ex presidente dell’Associazio­ne bancaria italiana (Abi) 7 anni di carcere. In primo grado i tre erano stati condannati a tre anni e mezzo. Per la Banca d’Italia è uno schiaffone: per i giudici Mussari non ha nascosto niente alla vigilanza, quindi gli uomini del governator­e Ignazio Visco sapevano tutto delle acrobazie finanziari­e con cui stava scassando la banca più antica del mondo. Per la Procura di Siena un’altra giornata nera: tre settimane fa la Procura di Genova ha aperto un fascicolo per abuso d’ufficio sulla conduzione delle indagini sul presunto suicidio del braccio destro di Mussari, David Rossi.

ALEXANDRIA è la parola chiave. Nel 2008 Mussari completa l’acquisizio­ne della Banca Antonvenet­a, investendo 17 miliardi su una cosa che valeva infinitame­nte meno. In un processo parallelo in primo grado a Milano, Mussari è accusato di aver cercato di spalmare sugli anni futuri le perdite dell’operazione con ardite manovre finanziari­e. Tra queste un contratto con la Nomura denominato Alexandria, un oneroso derivato ( credit default swap sintetico, in sigla cds) travestito da innocuo investimen­to in Btp, titoli di Stato italiani. Per questa operazione e per altre simili, Mussari deve rispondere, insieme a Vigni, Baldassarr­i e altri, di falso in bilancio e aggiotaggi­o (il bilancio abbellito droga il titolo in Borsa, quindi il primo reato determina anche il secondo).

Visco ha rivendicat­o di aver chiesto e ottenuto, appena nominato nel novembre 2011, l’uscita di Mussari e Vigni, sostituiti da Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, incaricati dalla Banca d’Italia (consapevol­e del disastro incipiente) di salvare il salvabile. A fine 2012 i due hanno scoperto in una cassaforte in uso a Vigni un contratto Mps-Nomura, il famigerato mandate agreement, che dimostrava la natura di “derivato” dell’operazione Alexandria. Gli ispettori della Banca d’Italia hanno giurato di non aver mai potuto classifica­re Alexandria come derivato in mancanza del mandate agreement. Per Mussari, Vigni e Baldassarr­i è scattata la denuncia per ostacolo alla vigilanza.

La vicenda ha assunto subi- to contorni assurdi. Da cinque anni vogliono farci credere che nel terzo millennio una grande banca possa tenere un contratto da miliardi di euro in unica copia cartacea dentro una cassaforte, come uno Scrooge di provincia in ritardo di duecento anni sulla tecno- logia. Il processo di primo grado ha visto una passerella di testimoni imbarazzat­i, dall’ispettore della Banca d’Italia Gian Paolo Scardone alla dirigente Consob Guglielmin­a Onofri. Tutti hanno ripetuto lo stesso ritornello: era chiaro che ci trovavamo davanti a un cds, ma non potevamo affermarlo con certezza non avendo la carta che lo provasse. La carta era in cassaforte.

NEL PROCESSO di primo grado è risultata evidente la volontà di far apparire Mussari – fino a pochi mesi prima riverito presidente dell’Abi, dalemiano d’origine ma in grande sintonia con il mondo tremontian­o e con tutto l’arcobaleno dei poteri forti e fortissimi – come un mariuolo, un imbroglion­cello qualsiasi anziché una pietra angolare del sistema bancario che Visco e i suoi curavano e rispettava­no. Quando il suo avvocato Fabio Pisillo ha chiesto di acquisire il cosiddetto Team Site, tutti gli scambi di informazio­ni tra la banca e il t ea m ispettivo guidato da Scardone, la procura si è opposta e il tribunale di Siena le ha dato ragione. Niente Team Site , dunque. E nessuno della Banca d’Italia è andato a controllar­e se per caso contenesse un documento che salvasse tre persone dal carcere.

In realtà il documento c’era. Si tratta del deed of amendment, che secondo gli avvocati della difesa è un contratto più chiaro e più definitivo dello stesso mandate agreement. La Banca d’Italia lo aveva sempre avuto e lo aveva ricevuto dal Monte dei Paschi. Ma le sorprese non finiscono qui. La difesa degli imputati ha trovato quasi per caso, dopo la condanna in primo grado, la prova che il deed of amendment era stato consegnato agli ispettori di Palazzo Koch. Era tra le carte processual­i di Milano, provenient­i da Siena. In particolar­e la Consob aveva consegnato agli inquirenti senesi un suo scambio di informazio­ni con gli uffici del Monte dei Paschi ai quali aveva chiesto le in- formazioni spedite alla vigilanza. Tra le risposte c’era il riferiment­o al deed of amendment. La procura di Siena aveva questo materiale nell’estate del 2014, ma il 31 ottobre ha chiesto 7 anni per Mussari e 6 per Vigni e Baldassarr­i, ottenendo la condanna a tre e mezzo per tutti e tre. “Ho fatto otto mesi di carcere”, ha commentato Baldassarr­i.

PER CAPIRE la portata reale della sentenza bisognerà aspettare le motivazion­i. I tre imputati sono stati assolti “perché il fatto non costituisc­e reato”. Secondo la consueta velina degli uomini di Visco “possiamo presumere che la corte consideri esistenti i fatti”. Il fatto è non aver dato agli ispettori il mandate agreement. Se i giudici diranno di aver assolto perché non hanno rilevato il dolo, alla Banca d’Italia resterà uno spiraglio per continuare a sostenere che comunque non sapeva. Se diranno invece di aver assolto Mussari perché Bankitalia non è stata ostacolata e sapeva tutto, per Visco saranno nuovi guai. Un anno fa è stato assolto dalla stessa accusa l’ex presidente di Etruria Giuseppe Fornasari. Adesso tocca a Gianni Zonin della Popolare Vicenza e a Vincenzo Consoli di Veneto Banca. Anche loro sono accusati di ostacolo alla vigilanza. E solo di quello.

Lo strano processo Gli uomini di Visco sapevano di aver ricevuto il contratto che abbelliva il bilancio

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