La faida palestinese che ha favorito i piani di Netanyahu
INORDINE SPARSO Il leader dell’Anp Mazen in difficoltà La linea radicale di Hamas a Gaza ha fornito al premier israeliano il nemico che serviva per rinsaldare il potere
Sia The Donald sia il premier israeliano Netanyahu, a capo di una coalizione di governo religiosa e di destra, sapevano che la decisione americana di riconoscere Gerusalemme, nella sua interezza, capitale dello Stato di Israele avrebbe ridato fiato agli strali di Hamas e indebolito ulteriormente la già consunta leadership palestinese in Cisgiordania. Il movimento islamico che dal 2007 guida la Striscia di Gaza dopo una guerra-lampo con Fatah - partito leader da sempre in Cisgiordania - ha del resto fin dall’inizio dell’attività politico-bellica servito gli interessi della destra religiosa ebraica e i suoi sostenitori nel mondo della diaspora.
Gli oltranzisti ebrei che occupano dal 2009 ministeri chiave e buona parte della Knesset (il Parlamento ebraico) fin dalla nascita dell’organizzazione armata islamica hanno avuto la strada spianata per imporsi. E, con il tempo, mettere in scacco il moderato Likud guidato da Netanyahu. Che dallo scorso anno, ovvero da quando si sono intensificate le inchieste per corruzione e abuso d’ufficio a carico suo e della onnipresente First Lady Sarah, è ancora più sottomesso ai voleri dei partner estremisti e pii della coalizione. Il loro sostegno è fondamentale per consentirgli di gridare al complotto.
PERCIÒ BIBI HA BISOGNO più che mai di una Hamas che sprona alla Terza Intifada. Non c'è nulla di meglio di una minaccia alla sicurezza nazionale della “Terra Promessa” per stornare l'attenzione dell'opinione pubblica dai propri guai interni. Non è inoltre un segreto che Hamas abbia ricevuto finanziamenti ambigui provenienti, secondo molti analisti, dall’intelligence israeliana. Ed è adamantino che ad Hamas faccia comodo la pericolosa decisione del duo Trump-Netanyahu. Non solo perché può rinnovare le sue accuse contro lo stato ebraico, a suo avviso palesemente intenzionato a cambiare lo status quo di Gerusalemme, piuttosto per tentare di guadagnare la popolarità persa durante la gestione della Striscia. E ci sta riuscendo visto che anche i palestinesi della Cisgiordania e di Gerusalemme Est a questo punto si rendono conto che Fatah e il suo anziano ed esausto rais Mahmud Abbas, più noto come Abu Mazen, non serve davvero più a nulla. Se non a portare avanti l’illusione della ripresa del negoziato di pace per rassicurare la comunità internazionale, non certo i giovani palestinesi che non credono più da tempo all’ipotesi che Israele voglia davvero concludere l’occupazione e consentire la nascita di uno Stato palestinese viabile. Cioè con una continuità territoriale. Che non potrà mai esserci se le colonie ebraiche continueranno ad espandersi all’interno dei Territori palestinesi. La mossa di Trump annichilisce la dirigenza palestinese contro cui lo scorso anno c’erano state manifestazioni di piazza per la corruzione dilagante.
INTANTO DA DUE MESI le nomenklature di Hamas e di Fatah stanno lavorando assieme, si fa per dire, allo scopo di tra- durre in decisioni e iniziative politiche la riconciliazione tra i due partiti avvenuta sotto l’ala di Al Sisi al Cairo.
Il vero leader, quello amato dai giovani palestinesi e dai duri e puri, ossia il 58enne Marwan Barghouti langue in prigione dal 2002 dopo le condanne a 5 ergastoli. Barghouti, che si rifiutò di presentare la propria difesa ai giudici israeliani non riconoscendone l’autorità, è ancora un membro di Fatah. Ma al proprio partito e agli avversari di Hamas il carismatico politico guerrigliero delle Brigate Tanzim, accusato di aver diretto la Seconda Intifada nata proprio sul timore del cambiamento dello status quo della città santa, è sgradito. Alle poltrone i rais palestinesi ci tengono. Tanto più con uno che potrebbe soffiare loro il posto non appena rimesso in libertà. Motivo per cui Barghouti finirà la propria vita dietro le sbarre.