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I prossimi passi dei legali: ricorso in Cassazione e appello alla Corte europea I tempi saranno lunghi: “Prima di queste decisioni avrà scontato quasi tutta la pena a Rebibbia”
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Niente più cure né cibo. Davanti alla propria cella, l’ex senatore, fondatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri ha intenzione di mettere un cartello per avvertire la polizia penitenziaria: ha iniziato lo sciopero dopo la decisione di ieri del Tribunale di sorveglianza di Roma che ha respinto la richiesta di sospensione della pena presentata dai suoi legali per motivi di salute (ha gravi problemi al cuore e un tumore alla prostata).
Resta quindi in carcere, a Rebibbia, dove sta scontando, dopo la condanna definitiva, una pena di sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa tra il 1974 e il 1992.
Strasburgo, ora dovrà rispondere il governo
Contro la decisione di ieri, la difesa dell’ex senatore, rappresentata in questo caso dall’avvocato Alessandro De Federicis, farà ricorso in Cassazione. Ma i tempi potrebbero essere lunghi: nell’ip o t es i più favorevole a Dell’Utri, anche qualora la Cassazione dovesse dare ragione ai suoi legali, rimanderebbe il caso di nuovo al Tribunale di sorveglianza per un’altra decisione. Prima di un anno, è difficile comunque che la Cassazione si pronunci.
E non sembra più celere la strada della Corte europea dei diritti dell’Uomo, alla quale pure si sono rivolti, nel dicembre 2014, gli avvocati. In questo caso, da Strasburgo sono stati posti alcuni quesiti al governo italiano, che dovrà rispondere entro il prossimo 15 gennaio. I giudici europei tra le altre cose chiedono: se il concorso esterno fosse “sufficientemente chiaro” prima del 1982, quando è stato introdotto tra i reati associativi; se si pone la questione del ne bis in idem, ossia se gli stessi fatti sono stati giudicati una seconda volta; se la detenzione è compatibile con lo stato di salute. Nelle richieste della Corte europea c’è il riferimento alla sentenza Contrada: l’Italia, nell’aprile 2015, è stata condannata perché il reato contestato ( dal 1979 al 1988) all’ex superpoliziotto, sempre nella forma del concorso esterno, non era “sufficientemente chiaro”. Poi la Cassazione ha revocato la condanna.
Dopo la risposta del governo italiano, quindi, saranno i giudici di Strasburgo a decidere. E anche qui, qualora dessero ragione agli avvocati di Dell’Utri, potrebbero rinviare la decisione ai tribunali italiani. Pure in questo caso i tempi sono lunghi.
L’ex senatore si trova in cella da circa tre anni e sei mesi: è stato arrestato nel giugno del 2014 dopo una breve permanenza in Libano. I legali temono che quando arriverà una delle due decisioni, avrà già scontato la maggior parte della pena in carcere: “Con la buona condotta – spiega l’avvocato Alessandro De Federicis – pu ò uscire tra un paio di anni. Ma i tempi della giustizia sono più lunghi. E di certo prima di un anno non arriverà neanche la decisione di un’eventuale Cassazione, alla quale faremo ricorso dopo la decisione di ieri”.
La moglie da lui lunedì: “È una condanna a morte”
Intanto l’ex senatore – c he da quando è in carcere si è iscritto all’Università di Bologna e ha sostenuto alcuni esami – ieri ha annunciato lo sciopero della fame e delle cure. Oltre alle patologie cardiache, ha un tumore alla prostata. Proprio per questo i suoi legali avevano chiesto al Tribunale di sorveglianza la sospensione della pena. Si è opposto il procuratore generale Pietro Giordano, il quale ha sostenuto che, nonostante la sua patologia, Dell’Utri può restare in cella. Una presa di posizione che è andata contro il parere degli stessi consulenti della Procura generale che si erano espressi per l’incompatibilità delle condizioni cliniche con lo stato detentivo. “È una situazione che forse non si è mai verificata – spiega l’avvocato De Federicis –. Poteva andare in ospedale, curare il tumore e rientrare in c ar ce r e”. Ma la richiesta è stata respinta. La moglie dell’ex senatore potrà andare a Rebibbia lunedì prossimo: “Le condizioni fisiche non possono che aggravarsi – ha detto Miranda Ratti Dell’Utri a Studio Aperto –. È una condanna a morte”. Ieri, invece, è andato a Rebibbia il deputato di FI Amedeo Laboccetta: “È un uomo provato. Deluso. Malato. Mi ha detto: ‘Ho un tumore e voglio sconfiggerlo. E qui dentro non posso’. È una decisione vergognosa’”.
Il cartello in cella Ieri il Tribunale di sorveglianza ha respinto la richiesta di sospensione della pena L’ex senatore FI Ha un tumore alla prostata e patologie cardiache. Labocetta: decisione vergognosa