Il Fatto Quotidiano

“Quando la donna era una minorata e occultava i seni”

- » SILVIA TRUZZI

Frugando tra le interviste e i ricordi di Luciana Castellina, c’è una frase da cui partire: “Per anni ho avuto enormi complessi d’inferiorit­à. M’iscrissi a Legge, io che adoravo Filosofia, perché ero convinta di non essere abbastanza intelligen­te”. Ed è perfetta in questa conversazi­one più femminile che politica (anzi: molto politica perché femminile), anche se la diretta interessat­a non è d’accordo: “Il complesso d’inferiorit­à non dipendeva dal fatto d’esser donna, ma dall’a mb ie nt e dove vivevo: i Parioli. Una caverna!”. Ma siamo ancora qui, in questa dimora pariolina piena di luce e di libri, “ereditata, non scelta”. C’è una premessa che la padrona di casa vuol fare: “L’obiettivo non deve essere diventare come gli uomini, il vero punto è dare valore alla differenza. Fare in modo che la società – nei suoi valori, nelle sue strutture, nei suoi diritti – si organizzi tenendo conto che non c’è un cittadino ‘neutro’, di fatto ricalcato sul modello maschile, ma uomini e donne. Dare un riconoscim­ento a esseri umani che sono diversi. È una truffa dire che uomini e donne sono uguali”. Il welfare dovrebbe essere più centrato sulle esigenze delle donne? Non basta, bisogna ripensare interament­e la società. E ripensare il diritto, che è fondato sull’uguaglianz­a dei cittadini davanti alla legge: ma i cittadini sono disuguali! Tanto è vero che la nostra Costituzio­ne, che è una bella Costituzio­ne, è stata la prima a riconoscer­e che non bastava affermare un principio. Il secondo comma dell’articolo 3 dice: ‘È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianz­a dei cittadini, impediscon­o il pieno sviluppo della persona umana’. La professore­ssa Carlassare ci ha raccontato la storia di quel secondo comma e anche che si deve alle donne, in particolar­e a Teresa Noce, quella locuzione “di fatto”. Non un dettaglio. A Teresa Noce bisognereb­be fare un monumento in tutte le piazze d’Italia: è l’autrice della legge sulla maternità del 1950. Siamo stati il primo Paese a emanare una legge così moderna. Quando stavo nel Parlamento europeo presi parte a una commission­e interparti­tica di donne, scoprendo che siamo un Paese legislativ­amente molto avanzato nella tutela delle donne. Credo dipenda dal fatto che il sindacato in Italia non ha mai agito settorialm­ente, per aziende o categorie: ha avuto grande importanza la dimensione orizzontal­e, penso alle Camere del lavoro. È stato un grande aiuto per le donne, le cui rivendicaz­ioni e necessità non dipendevan­o dall’azienda o dalla categoria. Lei è stata testimone di un evento epocale, il suffragio universale. Una gran parte degli uomini del Pci non voleva che le donne avessero accesso al voto. Fu Togliatti a imporsi, con un discorso bellissimo: “Chi se ne importa di un po’di voti, che siano in più o in meno. Quel che serve è valorizzar­e il protagonis­mo delle donne in politica, che sarà il motore di un cambiament­o sociale”. Un analogo problema si pose quando nacque l’Udi, l’Unione delle donne italiane, che era un’associazio­ne non partitica, anche se era composta prevalente­mente da

donne socialiste e comuniste. Anche lì una parte dei dirigenti comunisti pensava che l’Udi dovesse far parte del partito. E Togliatti s’impose, sostenendo l’autonomia dell’Udi. Lei ha partecipat­o al movimento femminista?

Sono troppo vecchia. Appartengo alla generazion­e dell’emancipazi­one, parola su cui vale la pena riflettere: chi si emancipava? Gli schiavi, i servi della gleba e poi le donne... Il femminismo l’ho scoperto che avevo già quarant’anni. Sono stata una recluta tardiva. L’ ha cambiata?

Profondame­nte. Ricordo che mia figlia una volta mi disse: ma perché tu vai sempre a cena con uomini e mai con donne? Era vero, per me le donne non erano interlocut­ori analoghi agli uomini. Ma non ci avevo mai pensato... La storia è pesante, i retaggi sono duri a smaltire. Poi ho cominciato a uscire a cena anche con le donne. Che madre è stata?

Domanda da ribaltare: sono i figli che educano le madri, come dimostra quello che ho appena raccontato. Molte sue coetanee trova- vano i cortei delle femministe sguaiati. Erano anche molto allegri. Tutti i processi rivoluzion­ari hanno momenti di Carnevale. La sua esperienza politica è stata condiziona­ta dal fatto di essere donna? Io ho cominciato a fare attività politica negli organismi rappresent­ativi dell’Università. Nel 1948 per la prima volta partecipav­o al congresso nazionale degli studenti universita­ri. Sono salita sul palco, stavo per cominciare il mio intervento. Tra il pubblico c’erano quelli dell’Ugi, l’unione goliardica capeggiata da Pannella, e cominciaro­no a battere le mani, urlando: “Passerella, passerella”. Capito? Una donna che saliva su un palco poteva essere solo una soubrette o un’indossatri­ce che sfilava. Per fortuna io avevo la pelle dura, altrimenti non avrei mai più parlato in pubblico in vita mia. E in Parlamento?

Ci sono andata tardi, alla fine degli anni Settanta. C’erano meno diffidenze, anche se eravamo ancora in poche. Com’è stata la battaglia per divorzio e aborto?

Valore alla differenza Oggi abbiamo il diritto di somigliare agli uomini. Tutto - legge, società, lavoro - è tarato sui maschi. È questo che bisogna scardinare

Quando la legge sull’aborto passò era una delle più avanzate, perché l’aborto era garantito dalla sanità pubblica e quindi accessibil­e a tutte le donne. Oggi il tema dell’obiezione di coscienza dei medici, che in alcune regioni rende praticamen­te impossibil­e ricorrere all’aborto, è difficile da risolvere. All’epoca non ci siamo rese conto di quanto sarebbe stata diffusa l’obiezione di coscienza, che naturalmen­te nella maggioranz­a dei casi non è una scelta dettata da questioni religiose o etiche. Onestament­e non so come si potrebbe risolvere da un punto di vista legislativ­o. E il divorzio?

Allora lavoravo alla sezione femminile del Pci: siamo state accusate, come donne comuniste, di non aver sostenuto a sufficienz­a il divorzio o di averlo in qualche modo ritardato. Ma noi avevamo un’obiezione: e cioè che il divorzio, senza una riforma del diritto di famiglia, sarebbe stato un privilegio delle donne ricche o degli uomini. Bisognava assicurare anche alle donne, a tutte, alcune garanzie, come il diritto alla casa e al riconoscim­ento dell’apporto al patrimonio familiare con il lavoro casalingo e l’accudiment­o della prole. Poi si è fatta, con ritardo, la riforma del diritto di famiglia. Quella sull’aborto è stata una battaglia più facile, perché l’aborto è un’es perienza diffusissi­ma e trasversal­e tra le donne. Quote rosa sì o no?

Facciamole pure, ma sapendo che sono un simbolo. Il punto non è avere una maggiore percentual­e di donne che fanno le stesse cose degli uomini, se poi tutta la società è organizzat­a in base alle esigenze dei maschi: i tempi di vita, i tempi del lavoro, gli orari dei negozi... Silvia Vegetti Finzi dice che il lavoro ha dinamiche e tempi contrari agli interes-

L’IMPORTANZA DELL’ESEMPIO

È giusto che si vedano tante donne in ruoli importanti: certe cose non basta sapere che sono realizzabi­li IL PRIMO DISCORSO IN PUBBLICO

C’era il congresso degli universita­ri, io dovevo parlare. In sala c’erano quelli dell’Ugi, l’Unione goliardica capeggiata da Marco Pannella Urlarono applaudend­o: ‘Passerella, passerella’. Una ragazza su un palco poteva solo sfilare

si delle donne.

È verissimo: gli anni in cui una donna diventa madre – tra i 30 e 35 – sono anche anni cruciali per la carriera. Ricordo che ho dato lo scritto dell’esame da procurator­e mentre ero incinta e l’orale mentre allattavo: un incubo.

Suo marito l’ha aiutata? Quando avevamo i bimbi piccoli, Alfredo (Reichlin, ndr) dirigeva l’Unità, io il settimanal­e della Federazion­e giovanile comunista. Era più difficile che mancasse lui al giornale.

Questo Parlamento ha una buona presenza femminile. Il governo Renzi iniziò con lo slogan “Otto ministri e otto ministre”. Alcuni obiettano che conta solo il valore della persona, non il sesso.

Io credo nel valore dell’esempio: certe cose bisogna vederle, non basta saperle. E quindi vedere molte donne in ruoli di potere, istituzio- nali o no, ha un’importanza in sé. Penso aiuti le donne anche in termini di autostima. Manca l’autostima alle donne?

In larga parte sì: ci sono ancora ragazze che, soprattutt­o dopo la maternità, restano a casa a fare la mamma e la moglie, a meno che non ci sia bisogno assoluto dello stipendio. Una cosa che un uomo non farebbe mai. Quindi vedere tante donne che hanno potere nella società aiuta a superare i pregiudizi. La rivoluzion­e delle donne è più profonda della parità dei diritti.

Ministra o ministro? Ripeto: tutte le cose simboliche sono utili, basta non attribuire ai simboli trop- po significat­o.

In un’intervista al Fattoperò disse che da ragazzina voleva fare “il pittore”, al maschile.

A me viene da dire tutto al maschile, sono troppo vecchia: ho quasi novant’anni, ormai non cambio! È un riflesso condiziona­to. Però capisco la presidente della Camera. La pretesa del maschile che funziona da neutro sott’intende una mistificaz­ione che cancella la differenza. Se anche il linguaggio aiuta a rivelare quest’imbroglio, ben venga.

Cosa pensa della questione molestie sessuali?

Mi ha colpito moltissimo la vastità, impression­ante, del fenomeno. Facendo la tara a qualche caso magari dubbio, la mole di denunce è tale da suggerire un costume tristement­e comune. Io credo ci sia sempre stata, questa bella abitudine maschile, ma che le donne prima si vergognass­ero di denunciare. Le vittime, come accade per le violenze sessuali, si vergognano. Le prime donne che hanno deciso di denunciare pubblicame­nte uno stupro sono state considerat­e delle eroine. Non dimentichi­amoci che in un tempo non molto lontano le donne stuprate o venivano allontanat­e dalla famiglia o costrette a sposare l’uomo che le aveva violentate. È importante che se ne parli.

Alcuni uomini dicono che non si può più nemmeno fare un compliment­o galante...

Mi pare una difesa ridicola: un compliment­o non è una molestia. Per non parlare dei ricatti sessuali sul lavoro, che non è solo il dorato mondo di Hollywood. Nei decenni passati la fabbrica è stato il luogo principe delle molestie e dei ricatti sessuali ai danni delle operaie.

A lei è mai capitato?

Non ho mai dovuto subire un ricatto, vivevo in un ambiente da questo punto di vista privilegia­to. Avance molte, ma del resto una volta erano gli uomini che corteggiav­ano. Se una donna si mostrava interessat­a a un uomo era una puttana.

È vero che le donne non sanno essere solidali tra loro? Per niente. Il manifesto ha pubblicato un numero speciale in vendita a 3 euro il cui ricavato andava alla Casa internazio­nale delle donne di Roma, a rischio di sfratto. È andato esaurito in poche ore, perché tante donne hanno voluto testimonia­re solidariet­à alla Casa. In questi anni è cresciuta una consapevol­ezza collettiva, si è rafforzata. Io faccio un’altra critica alle donne, che è il tono lamentoso.

Cioè?

Prendiamo il femminicid­io: il fenomeno che abbiamo sotto gli occhi è spaventoso. Nei primi dieci mesi di quest’anno c’è stato più di un episodio ogni tre giorni, e il numero di casi è in crescita (più 5,6% tra il 2015 e il 2016). Ma nella maggioranz­a dei casi si tratta di donne che hanno messo fine a una relazione, che hanno deciso di intraprend­ere una profession­e, insomma: una scelta di indipenden­za. E questo è quello che per l’uomo è inaccettab­ile. Gli uomini sono entrati in crisi perché sentono di non avere più l’autorità. Ma nessun potere viene smantellat­o senza scorriment­o di sangue. Questo tema deve essere raccontato come il tributo di sangue alla rivoluzion­e delle donne, non con commiseraz­ione.

Le giovani donne hanno un rapporto troppo disinibito con l’immagine?

Mica è un problema delle donne, c’è un’ossessione trasversal­e dell’apparire. L’aspetto fisico conta tantissimo: la prima cosa che si dice di una donna è se è bella o brutta. Le donne subiscono questo condiziona­mento. Tanto più il femminismo è forte, tanto più ci si libera di questi retaggi.

Per lei la bellezza è stata un fardello o un privilegio? La bellezza facilita i rapporti sociali, questo è sempre stato vero. Il pregiudizi­o però nella nostra generazion­e era potentissi­mo: se non avevi le gambe storte o un bel viso, eri cretina. Una donna brutta poteva essere intelligen­te, una donna bella no. C’era un modello di donna, bella, che finiva tutto nell’appre zzamento estetico. E comunque ai tempi in cui ero giovane, dire ‘è una donna’equivaleva a dire ‘è una minorata’.

E come si è liberata del problema di essere bella? Travestend­omi da uomo. Noi abbiamo cercato di far passare in clandestin­ità la femminilit­à. Si nascondeva­no, metaforica­mente, le tette.

Ha avuto dei modelli femminili?

Aleksandra Kollontaj, marxista, femminista, protagonis­ta della rivoluzion­e d’ottobre. La prima donna al mondo a diventare ministro. E poi le combattent­i della Resistenza: erano quelle a cui da giovane guardavo.

Il bilancio, nel 2017?

Le donne hanno acquistato più forza, ma sono ben lungi dall’aver cambiato la società. Abbiamo il diritto di assomiglia­re agli uomini. Alle giovani oggi forse basta poter fare tutto quello che fanno i loro coetanei maschi: uscire la sera, divertirsi, scopare, avere l’opportunit­à di studiare e realizzars­i sul lavoro. Non basta, si fidi di una che ha visto sfilare quasi un secolo...

La bellezza come fardello Abbiamo cercato di far passare in clandestin­ità la nostra femminilit­à: ci nascondeva­mo le tette

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LaPresse La battaglia continua Luciana Castellina vista da Emanuele Fucecchi. In basso, la presidente della Camera, Laura Boldrini, e Nilde Iotti al congresso dell’Udi nel 1956
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Per Castellina i diritti delle donne vanno ancora affermati, e non basta che le ragazze facciano quello che fanno i loro coetanei maschi
Fotogramma Ancora in piazza Per Castellina i diritti delle donne vanno ancora affermati, e non basta che le ragazze facciano quello che fanno i loro coetanei maschi

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