“Quando la donna era una minorata e occultava i seni”
Frugando tra le interviste e i ricordi di Luciana Castellina, c’è una frase da cui partire: “Per anni ho avuto enormi complessi d’inferiorità. M’iscrissi a Legge, io che adoravo Filosofia, perché ero convinta di non essere abbastanza intelligente”. Ed è perfetta in questa conversazione più femminile che politica (anzi: molto politica perché femminile), anche se la diretta interessata non è d’accordo: “Il complesso d’inferiorità non dipendeva dal fatto d’esser donna, ma dall’a mb ie nt e dove vivevo: i Parioli. Una caverna!”. Ma siamo ancora qui, in questa dimora pariolina piena di luce e di libri, “ereditata, non scelta”. C’è una premessa che la padrona di casa vuol fare: “L’obiettivo non deve essere diventare come gli uomini, il vero punto è dare valore alla differenza. Fare in modo che la società – nei suoi valori, nelle sue strutture, nei suoi diritti – si organizzi tenendo conto che non c’è un cittadino ‘neutro’, di fatto ricalcato sul modello maschile, ma uomini e donne. Dare un riconoscimento a esseri umani che sono diversi. È una truffa dire che uomini e donne sono uguali”. Il welfare dovrebbe essere più centrato sulle esigenze delle donne? Non basta, bisogna ripensare interamente la società. E ripensare il diritto, che è fondato sull’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge: ma i cittadini sono disuguali! Tanto è vero che la nostra Costituzione, che è una bella Costituzione, è stata la prima a riconoscere che non bastava affermare un principio. Il secondo comma dell’articolo 3 dice: ‘È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana’. La professoressa Carlassare ci ha raccontato la storia di quel secondo comma e anche che si deve alle donne, in particolare a Teresa Noce, quella locuzione “di fatto”. Non un dettaglio. A Teresa Noce bisognerebbe fare un monumento in tutte le piazze d’Italia: è l’autrice della legge sulla maternità del 1950. Siamo stati il primo Paese a emanare una legge così moderna. Quando stavo nel Parlamento europeo presi parte a una commissione interpartitica di donne, scoprendo che siamo un Paese legislativamente molto avanzato nella tutela delle donne. Credo dipenda dal fatto che il sindacato in Italia non ha mai agito settorialmente, per aziende o categorie: ha avuto grande importanza la dimensione orizzontale, penso alle Camere del lavoro. È stato un grande aiuto per le donne, le cui rivendicazioni e necessità non dipendevano dall’azienda o dalla categoria. Lei è stata testimone di un evento epocale, il suffragio universale. Una gran parte degli uomini del Pci non voleva che le donne avessero accesso al voto. Fu Togliatti a imporsi, con un discorso bellissimo: “Chi se ne importa di un po’di voti, che siano in più o in meno. Quel che serve è valorizzare il protagonismo delle donne in politica, che sarà il motore di un cambiamento sociale”. Un analogo problema si pose quando nacque l’Udi, l’Unione delle donne italiane, che era un’associazione non partitica, anche se era composta prevalentemente da
donne socialiste e comuniste. Anche lì una parte dei dirigenti comunisti pensava che l’Udi dovesse far parte del partito. E Togliatti s’impose, sostenendo l’autonomia dell’Udi. Lei ha partecipato al movimento femminista?
Sono troppo vecchia. Appartengo alla generazione dell’emancipazione, parola su cui vale la pena riflettere: chi si emancipava? Gli schiavi, i servi della gleba e poi le donne... Il femminismo l’ho scoperto che avevo già quarant’anni. Sono stata una recluta tardiva. L’ ha cambiata?
Profondamente. Ricordo che mia figlia una volta mi disse: ma perché tu vai sempre a cena con uomini e mai con donne? Era vero, per me le donne non erano interlocutori analoghi agli uomini. Ma non ci avevo mai pensato... La storia è pesante, i retaggi sono duri a smaltire. Poi ho cominciato a uscire a cena anche con le donne. Che madre è stata?
Domanda da ribaltare: sono i figli che educano le madri, come dimostra quello che ho appena raccontato. Molte sue coetanee trova- vano i cortei delle femministe sguaiati. Erano anche molto allegri. Tutti i processi rivoluzionari hanno momenti di Carnevale. La sua esperienza politica è stata condizionata dal fatto di essere donna? Io ho cominciato a fare attività politica negli organismi rappresentativi dell’Università. Nel 1948 per la prima volta partecipavo al congresso nazionale degli studenti universitari. Sono salita sul palco, stavo per cominciare il mio intervento. Tra il pubblico c’erano quelli dell’Ugi, l’unione goliardica capeggiata da Pannella, e cominciarono a battere le mani, urlando: “Passerella, passerella”. Capito? Una donna che saliva su un palco poteva essere solo una soubrette o un’indossatrice che sfilava. Per fortuna io avevo la pelle dura, altrimenti non avrei mai più parlato in pubblico in vita mia. E in Parlamento?
Ci sono andata tardi, alla fine degli anni Settanta. C’erano meno diffidenze, anche se eravamo ancora in poche. Com’è stata la battaglia per divorzio e aborto?
Valore alla differenza Oggi abbiamo il diritto di somigliare agli uomini. Tutto - legge, società, lavoro - è tarato sui maschi. È questo che bisogna scardinare
Quando la legge sull’aborto passò era una delle più avanzate, perché l’aborto era garantito dalla sanità pubblica e quindi accessibile a tutte le donne. Oggi il tema dell’obiezione di coscienza dei medici, che in alcune regioni rende praticamente impossibile ricorrere all’aborto, è difficile da risolvere. All’epoca non ci siamo rese conto di quanto sarebbe stata diffusa l’obiezione di coscienza, che naturalmente nella maggioranza dei casi non è una scelta dettata da questioni religiose o etiche. Onestamente non so come si potrebbe risolvere da un punto di vista legislativo. E il divorzio?
Allora lavoravo alla sezione femminile del Pci: siamo state accusate, come donne comuniste, di non aver sostenuto a sufficienza il divorzio o di averlo in qualche modo ritardato. Ma noi avevamo un’obiezione: e cioè che il divorzio, senza una riforma del diritto di famiglia, sarebbe stato un privilegio delle donne ricche o degli uomini. Bisognava assicurare anche alle donne, a tutte, alcune garanzie, come il diritto alla casa e al riconoscimento dell’apporto al patrimonio familiare con il lavoro casalingo e l’accudimento della prole. Poi si è fatta, con ritardo, la riforma del diritto di famiglia. Quella sull’aborto è stata una battaglia più facile, perché l’aborto è un’es perienza diffusissima e trasversale tra le donne. Quote rosa sì o no?
Facciamole pure, ma sapendo che sono un simbolo. Il punto non è avere una maggiore percentuale di donne che fanno le stesse cose degli uomini, se poi tutta la società è organizzata in base alle esigenze dei maschi: i tempi di vita, i tempi del lavoro, gli orari dei negozi... Silvia Vegetti Finzi dice che il lavoro ha dinamiche e tempi contrari agli interes-
L’IMPORTANZA DELL’ESEMPIO
È giusto che si vedano tante donne in ruoli importanti: certe cose non basta sapere che sono realizzabili IL PRIMO DISCORSO IN PUBBLICO
C’era il congresso degli universitari, io dovevo parlare. In sala c’erano quelli dell’Ugi, l’Unione goliardica capeggiata da Marco Pannella Urlarono applaudendo: ‘Passerella, passerella’. Una ragazza su un palco poteva solo sfilare
si delle donne.
È verissimo: gli anni in cui una donna diventa madre – tra i 30 e 35 – sono anche anni cruciali per la carriera. Ricordo che ho dato lo scritto dell’esame da procuratore mentre ero incinta e l’orale mentre allattavo: un incubo.
Suo marito l’ha aiutata? Quando avevamo i bimbi piccoli, Alfredo (Reichlin, ndr) dirigeva l’Unità, io il settimanale della Federazione giovanile comunista. Era più difficile che mancasse lui al giornale.
Questo Parlamento ha una buona presenza femminile. Il governo Renzi iniziò con lo slogan “Otto ministri e otto ministre”. Alcuni obiettano che conta solo il valore della persona, non il sesso.
Io credo nel valore dell’esempio: certe cose bisogna vederle, non basta saperle. E quindi vedere molte donne in ruoli di potere, istituzio- nali o no, ha un’importanza in sé. Penso aiuti le donne anche in termini di autostima. Manca l’autostima alle donne?
In larga parte sì: ci sono ancora ragazze che, soprattutto dopo la maternità, restano a casa a fare la mamma e la moglie, a meno che non ci sia bisogno assoluto dello stipendio. Una cosa che un uomo non farebbe mai. Quindi vedere tante donne che hanno potere nella società aiuta a superare i pregiudizi. La rivoluzione delle donne è più profonda della parità dei diritti.
Ministra o ministro? Ripeto: tutte le cose simboliche sono utili, basta non attribuire ai simboli trop- po significato.
In un’intervista al Fattoperò disse che da ragazzina voleva fare “il pittore”, al maschile.
A me viene da dire tutto al maschile, sono troppo vecchia: ho quasi novant’anni, ormai non cambio! È un riflesso condizionato. Però capisco la presidente della Camera. La pretesa del maschile che funziona da neutro sott’intende una mistificazione che cancella la differenza. Se anche il linguaggio aiuta a rivelare quest’imbroglio, ben venga.
Cosa pensa della questione molestie sessuali?
Mi ha colpito moltissimo la vastità, impressionante, del fenomeno. Facendo la tara a qualche caso magari dubbio, la mole di denunce è tale da suggerire un costume tristemente comune. Io credo ci sia sempre stata, questa bella abitudine maschile, ma che le donne prima si vergognassero di denunciare. Le vittime, come accade per le violenze sessuali, si vergognano. Le prime donne che hanno deciso di denunciare pubblicamente uno stupro sono state considerate delle eroine. Non dimentichiamoci che in un tempo non molto lontano le donne stuprate o venivano allontanate dalla famiglia o costrette a sposare l’uomo che le aveva violentate. È importante che se ne parli.
Alcuni uomini dicono che non si può più nemmeno fare un complimento galante...
Mi pare una difesa ridicola: un complimento non è una molestia. Per non parlare dei ricatti sessuali sul lavoro, che non è solo il dorato mondo di Hollywood. Nei decenni passati la fabbrica è stato il luogo principe delle molestie e dei ricatti sessuali ai danni delle operaie.
A lei è mai capitato?
Non ho mai dovuto subire un ricatto, vivevo in un ambiente da questo punto di vista privilegiato. Avance molte, ma del resto una volta erano gli uomini che corteggiavano. Se una donna si mostrava interessata a un uomo era una puttana.
È vero che le donne non sanno essere solidali tra loro? Per niente. Il manifesto ha pubblicato un numero speciale in vendita a 3 euro il cui ricavato andava alla Casa internazionale delle donne di Roma, a rischio di sfratto. È andato esaurito in poche ore, perché tante donne hanno voluto testimoniare solidarietà alla Casa. In questi anni è cresciuta una consapevolezza collettiva, si è rafforzata. Io faccio un’altra critica alle donne, che è il tono lamentoso.
Cioè?
Prendiamo il femminicidio: il fenomeno che abbiamo sotto gli occhi è spaventoso. Nei primi dieci mesi di quest’anno c’è stato più di un episodio ogni tre giorni, e il numero di casi è in crescita (più 5,6% tra il 2015 e il 2016). Ma nella maggioranza dei casi si tratta di donne che hanno messo fine a una relazione, che hanno deciso di intraprendere una professione, insomma: una scelta di indipendenza. E questo è quello che per l’uomo è inaccettabile. Gli uomini sono entrati in crisi perché sentono di non avere più l’autorità. Ma nessun potere viene smantellato senza scorrimento di sangue. Questo tema deve essere raccontato come il tributo di sangue alla rivoluzione delle donne, non con commiserazione.
Le giovani donne hanno un rapporto troppo disinibito con l’immagine?
Mica è un problema delle donne, c’è un’ossessione trasversale dell’apparire. L’aspetto fisico conta tantissimo: la prima cosa che si dice di una donna è se è bella o brutta. Le donne subiscono questo condizionamento. Tanto più il femminismo è forte, tanto più ci si libera di questi retaggi.
Per lei la bellezza è stata un fardello o un privilegio? La bellezza facilita i rapporti sociali, questo è sempre stato vero. Il pregiudizio però nella nostra generazione era potentissimo: se non avevi le gambe storte o un bel viso, eri cretina. Una donna brutta poteva essere intelligente, una donna bella no. C’era un modello di donna, bella, che finiva tutto nell’appre zzamento estetico. E comunque ai tempi in cui ero giovane, dire ‘è una donna’equivaleva a dire ‘è una minorata’.
E come si è liberata del problema di essere bella? Travestendomi da uomo. Noi abbiamo cercato di far passare in clandestinità la femminilità. Si nascondevano, metaforicamente, le tette.
Ha avuto dei modelli femminili?
Aleksandra Kollontaj, marxista, femminista, protagonista della rivoluzione d’ottobre. La prima donna al mondo a diventare ministro. E poi le combattenti della Resistenza: erano quelle a cui da giovane guardavo.
Il bilancio, nel 2017?
Le donne hanno acquistato più forza, ma sono ben lungi dall’aver cambiato la società. Abbiamo il diritto di assomigliare agli uomini. Alle giovani oggi forse basta poter fare tutto quello che fanno i loro coetanei maschi: uscire la sera, divertirsi, scopare, avere l’opportunità di studiare e realizzarsi sul lavoro. Non basta, si fidi di una che ha visto sfilare quasi un secolo...
La bellezza come fardello Abbiamo cercato di far passare in clandestinità la nostra femminilità: ci nascondevamo le tette