Il Fatto Quotidiano

May, un accordo a ostacoli per non finire nelle grinfie Ue

VITTORIA AI PUNTI La premier si assicura un futuro

- » SABRINA PROVENZANI » ANDREA VALDAMBRIN­I

L’accordo è stato raggiunto solo all’alba di ieri, in extremis, dopo mesi di negoziati infruttuos­i. Poche ore dopo, in una conferenza stampa congiunta a Bruxelles, il primo ministro britannico Theresa May e il presidente della Commission­e europea Jean-Claude Juncker hanno presentato le 15 pagine del documento che, se approvato dai presidenti dei Paesi membri dell’Unione al Consiglio europeo del 14 e 15 dicembre, chiuderà la fase del divorzio fra Ue e Regno Unito, aprendo i negoziati cruciali, quelli sui rapporti post- Brexit.

Gli snodi erano tre: status dei cittadini europei e ruolo della Corte europea di Giustizia; frontiera irlandese; il conto della separazion­e.

DIRITTI DEI CITTADINI. Tre milioni di residenti europei nel Regno Unito e 1,2 milioni di britannici nei Paesi dell’Unione, compresi quelli che si trasferira­nno entro i due anni di transizion­e previsti – quindi fino al 2021 – non manterrann­o, come sperato dalle associazio­ni che li rappresent­ano, lo status di cittadini europei: per ottenere il diritto alla residenza permanente dovranno farne richiesta, anche se tramite procedure “semplifica­te e trasparent­i” e a costi contenuti. L’approvazio­ne non sarà automatica ma dipenderà dalla valutazion­e, caso per caso, del ministro degli Interni britannico e lo status di residente decadrà dopo 5 anni di assenza dal Paese.

I loro attuali diritti, compreso l’accesso ai benefit e la possibilit­à di ricongiung­imento familiare, perfino dei figli non ancora nati, saranno garantiti, ma chi resta sarà soggetto a controlli sistematic­i dell’Home officee al diritto britannico, anche se è prevista la possibilit­à di ricorrere alla Corte di Giustizia europea per 8 anni oltre la data di uscita. La Ue ha negato, per ora, ai cittadini britannici già in Europa la possibilit­à di conservare gli stessi diritti se si trasferisc­ono in un altro Paese dell’Unione.

LA FRONTIERA IRLANDESE. È il dossier su cui l’accordo si era arenato lunedì scorso, a un passo dalla conclusion­e, per il veto degli Unionisti nordirland­esi del Dup, che con i loro 10 parlamenta­ri tengono in piedi la fragile maggioranz­a conservatr­ice.

Come promesso a Dublino, il Regno Unito si impegna “L’accordo

sui termini del divorzio è concluso. Ora, finalmente si comincerà a parlare della sostanza”. Antonio Villafranc­a è responsabi­le de ll ’ Osservator­io Europa dell’Istituto per gli studi di Politica Internazio­nale (Ispi).

Chi ha vinto e chi ha perso? Penso si tratti di una vittoria per entrambi, perché è nell’interesse di tutti di chiudere la prima parte per avviare la negoziazio­ne vera e propria. Va detto però che guardando i singoli punti dell’accordo raggiunto e confrontan­doli con le posizioni di partenza, ora siamo arrivati più vicini alle richieste dell’Ue. Lo sforzo di Londra è stato grande, tanto che Nigel Farage – leader del nazionalis­ta Ukip –, favorevole al divorzio brusco con Bruxelles, è ripartito all’attacco.

Quali sono i compromess­i I 3 milioni di cittadini europei in Gran Bretagna conservano i pieni diritti fino alla piena introduzio­ne della Brexit Il conto finale per Londra è di 50 miliardi di euro da pagare a Bruxelles Evitata la piena separazion­e dell’Irlanda a evitare un hard border, una frontiera fisica, con la Repubblica irlandese ma conferma anche l’uscita dall’U nio ne doganale: due posizioni apparentem­ente inconcilia­bili. In assenza di un accordo finale con l’Ue, comunque, il Regno Unito assicura “completo allineamen­to” con le regole previste dagli accordi di Belfast che misero fine alla guerra civile nel 1998.

Rispetto a lunedì, il Dup di Arlene Foster ha ottenuto un importante risultato politico: niente “status speciale per l’Irlanda del Nord” e ampie garanzie che “non sarà separata costituzio­nalmente, politicame­nte, economicam­ente o normativam­ente dal resto del Regno Unito” e“che non vi saranno barriere commercial­i fra l’Ulster e “l’intero mercato interno” britannico senza l’ok del parlamento nordirland­ese. La May ha superato, per ora, l’ostacolo, ma è apparsa, agli occhi del mondo, ostaggio di un partitino regionale di minoranza.

IL CONTO. La cifra non è messa nero su bianco, ma il documento chiarisce la metodologi­a condivisa per determinar­e il conto finale, che potrebbe arrivare ai 50 miliardi di euro. Il Regno Unito continuerà a contribuir­e al budget europeo normalment­e nel 2019 e nel 2020, e a versare il dovuto su altri fronti, come i contribuit­i pensionist­ici.

LE RICADUTE POLITICHE. Per ora, è una vittoria della May, riconosciu­ta dai più ostili esponenti del suo governo. Michael Gove ha parlato di “significat­ivo successo personale” e Boris Johnson ha riconosciu­to la “grande determ in a zi on e ” della premier. Jeremy Corbyn è apparso più scettico e ha detto di volerne sapere di più prima di considerar­lo un successo. Di certo l’accordo, salutato da un rialzo della sterlina e dal sollievo di rappresent­anti della City e delle industrie britannich­e, sembra rafforzare la tenuta politica del governo May e allontanar­e la prospettiv­a di elezioni anticipate e di un possibile governo Corbyn. Ma gli Hard Brexiteers potrebbero riservare sorprese. “Inaccettab­ile” è stato il commento del fondatore dell’Ukip, Farage, che ha aggiunto: “Possiamo passare alla prossima fase di umiliazion­e”. E uno dei maggiori finanziato­ri della campagna referendar­ia per il Leave, il miliardari­o Arron Banks, ha dichiarato: “Abbiamo la conferma che la May ha tradito il Paese e i suoi 17,4 milioni di leaver”.

I negoziati per l’accordo commercial­e non inizierann­o prima di febbraio, lasciando solo un anno di tempo per inventarsi un good deal. Ora comincia il difficile.

I punti Fronte interno

Gli oppositori tories riconoscon­o il successo; i nazionalis­ti le danno addosso

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Reuters/LaPresse Duo May e Juncker. In alto, Farage
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