May, un accordo a ostacoli per non finire nelle grinfie Ue
VITTORIA AI PUNTI La premier si assicura un futuro
L’accordo è stato raggiunto solo all’alba di ieri, in extremis, dopo mesi di negoziati infruttuosi. Poche ore dopo, in una conferenza stampa congiunta a Bruxelles, il primo ministro britannico Theresa May e il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker hanno presentato le 15 pagine del documento che, se approvato dai presidenti dei Paesi membri dell’Unione al Consiglio europeo del 14 e 15 dicembre, chiuderà la fase del divorzio fra Ue e Regno Unito, aprendo i negoziati cruciali, quelli sui rapporti post- Brexit.
Gli snodi erano tre: status dei cittadini europei e ruolo della Corte europea di Giustizia; frontiera irlandese; il conto della separazione.
DIRITTI DEI CITTADINI. Tre milioni di residenti europei nel Regno Unito e 1,2 milioni di britannici nei Paesi dell’Unione, compresi quelli che si trasferiranno entro i due anni di transizione previsti – quindi fino al 2021 – non manterranno, come sperato dalle associazioni che li rappresentano, lo status di cittadini europei: per ottenere il diritto alla residenza permanente dovranno farne richiesta, anche se tramite procedure “semplificate e trasparenti” e a costi contenuti. L’approvazione non sarà automatica ma dipenderà dalla valutazione, caso per caso, del ministro degli Interni britannico e lo status di residente decadrà dopo 5 anni di assenza dal Paese.
I loro attuali diritti, compreso l’accesso ai benefit e la possibilità di ricongiungimento familiare, perfino dei figli non ancora nati, saranno garantiti, ma chi resta sarà soggetto a controlli sistematici dell’Home officee al diritto britannico, anche se è prevista la possibilità di ricorrere alla Corte di Giustizia europea per 8 anni oltre la data di uscita. La Ue ha negato, per ora, ai cittadini britannici già in Europa la possibilità di conservare gli stessi diritti se si trasferiscono in un altro Paese dell’Unione.
LA FRONTIERA IRLANDESE. È il dossier su cui l’accordo si era arenato lunedì scorso, a un passo dalla conclusione, per il veto degli Unionisti nordirlandesi del Dup, che con i loro 10 parlamentari tengono in piedi la fragile maggioranza conservatrice.
Come promesso a Dublino, il Regno Unito si impegna “L’accordo
sui termini del divorzio è concluso. Ora, finalmente si comincerà a parlare della sostanza”. Antonio Villafranca è responsabile de ll ’ Osservatorio Europa dell’Istituto per gli studi di Politica Internazionale (Ispi).
Chi ha vinto e chi ha perso? Penso si tratti di una vittoria per entrambi, perché è nell’interesse di tutti di chiudere la prima parte per avviare la negoziazione vera e propria. Va detto però che guardando i singoli punti dell’accordo raggiunto e confrontandoli con le posizioni di partenza, ora siamo arrivati più vicini alle richieste dell’Ue. Lo sforzo di Londra è stato grande, tanto che Nigel Farage – leader del nazionalista Ukip –, favorevole al divorzio brusco con Bruxelles, è ripartito all’attacco.
Quali sono i compromessi I 3 milioni di cittadini europei in Gran Bretagna conservano i pieni diritti fino alla piena introduzione della Brexit Il conto finale per Londra è di 50 miliardi di euro da pagare a Bruxelles Evitata la piena separazione dell’Irlanda a evitare un hard border, una frontiera fisica, con la Repubblica irlandese ma conferma anche l’uscita dall’U nio ne doganale: due posizioni apparentemente inconciliabili. In assenza di un accordo finale con l’Ue, comunque, il Regno Unito assicura “completo allineamento” con le regole previste dagli accordi di Belfast che misero fine alla guerra civile nel 1998.
Rispetto a lunedì, il Dup di Arlene Foster ha ottenuto un importante risultato politico: niente “status speciale per l’Irlanda del Nord” e ampie garanzie che “non sarà separata costituzionalmente, politicamente, economicamente o normativamente dal resto del Regno Unito” e“che non vi saranno barriere commerciali fra l’Ulster e “l’intero mercato interno” britannico senza l’ok del parlamento nordirlandese. La May ha superato, per ora, l’ostacolo, ma è apparsa, agli occhi del mondo, ostaggio di un partitino regionale di minoranza.
IL CONTO. La cifra non è messa nero su bianco, ma il documento chiarisce la metodologia condivisa per determinare il conto finale, che potrebbe arrivare ai 50 miliardi di euro. Il Regno Unito continuerà a contribuire al budget europeo normalmente nel 2019 e nel 2020, e a versare il dovuto su altri fronti, come i contribuiti pensionistici.
LE RICADUTE POLITICHE. Per ora, è una vittoria della May, riconosciuta dai più ostili esponenti del suo governo. Michael Gove ha parlato di “significativo successo personale” e Boris Johnson ha riconosciuto la “grande determ in a zi on e ” della premier. Jeremy Corbyn è apparso più scettico e ha detto di volerne sapere di più prima di considerarlo un successo. Di certo l’accordo, salutato da un rialzo della sterlina e dal sollievo di rappresentanti della City e delle industrie britanniche, sembra rafforzare la tenuta politica del governo May e allontanare la prospettiva di elezioni anticipate e di un possibile governo Corbyn. Ma gli Hard Brexiteers potrebbero riservare sorprese. “Inaccettabile” è stato il commento del fondatore dell’Ukip, Farage, che ha aggiunto: “Possiamo passare alla prossima fase di umiliazione”. E uno dei maggiori finanziatori della campagna referendaria per il Leave, il miliardario Arron Banks, ha dichiarato: “Abbiamo la conferma che la May ha tradito il Paese e i suoi 17,4 milioni di leaver”.
I negoziati per l’accordo commerciale non inizieranno prima di febbraio, lasciando solo un anno di tempo per inventarsi un good deal. Ora comincia il difficile.
I punti Fronte interno
Gli oppositori tories riconoscono il successo; i nazionalisti le danno addosso