Consulta, così può sfiorire il Rosatellum
Martedì la Consulta decide sull’ammissibilità del ricorso contro l’approvazione con la fiducia
Per la terza volta in pochi anni la Corte costituzionale – ormai supplente in servizio effettivo permanente del Parlamento – si occuperà di legge elettorale. Sul banco degli imputati c’è l’ultimo arrivato, il Rosatellum, anche se a questo giro i giudici sono chiamati a dirimere non questioni di sostanza, bensì di forma. Che, com’è noto, in queste faccende non sono affatto lontane parenti. Oggetto del ricorso - presentato da deputati e senatori del Movimento 5 Stelle, rappresentati dal gruppo di avvocati che fece dichiarare incostituzionali Porcellum e Italicum - è il conflitto di attribuzione contro le due Camere: la legge e- lettorale è stata approvata con la fiducia imposta dal governo, impedendo il dibattito su quella legge che, secondo l’articolo 72 della Costituzione, deve sempre seguire “la procedura normale di esame e di approvazione diretta”.
LA QUESTIONE sembra affare da Azzeccagabugli, eppure gli effetti rischiano di far fare la fine del cappone a qualcuno dei nostri leader. Casomai la Corte ritenesse ammissibile il ricorso e poi riscontrasse effettivamente un vizio nell’iter di approvazione del Rosatellum, questo sarebbe annullato. A pochi mesi dal voto potremmo ritrovarci con i due Consultellum (cioè quel che resta di Italicum per la Camera e Porcellum per il Senato dopo i due interventi della Consulta) da armonizzare per andare alle urne.
Fantapolitica? Certamente una situazione assurda, che rivelerebbe un’inettitudine ormai cronica dei partiti e relativi capi che hanno voluto il Rosatellum a tutti i costi. Ma i singoli parlamentari possono essere considerati poteri dello Stato? Secondo Massimo Villone, professore emerito a Napoli, il ricorso è inammissibile. Lo ha spiegato in un seminario organizzato dalla rivista Nomos: “Può ben essere che il procedimento di formazione della legge risulti viziato. Ma questo si traduce in una possibile incostituzionalità della legge, da far valere nei modi consentiti, e cioè attraverso un giudizio in cui sollevare la questione di costituzionalità”. Insomma: è possibile che voteremo di nuovo con una legge incostituzionale, sostiene il professore, ma è una responsabilità della poli- tica che ha avuto un’intera legislatura per scriverne una quantomeno conforme alla Carta. Alla situazione però “non si rimedia configurando la Corte come giudice dell’urgenza”. Il rischio è che nel caso la Consulta dichiari ammissibile il ricorso, nel merito poi si esprima nel senso di legittimare la prassi del voto di fiducia sulle leggi elettorali, salvando il Rosatellum. Esito che certamente è auspicato dal Quirinale, che non vuol trovarsi alla vigilia delle urne con una bomba a orologeria da gestire. Ma gli equilibri, nei vari palazzi del potere, sono fragili e i rapporti di forza assai mutevoli. Non è tutto così scontato.
RIFLETTENDO sul quesito (cioè se un singolo deputato sia potere dello Stato) il professor Roberto Bin - costituzionalista dell’Università di Ferrara, ai tempi sostenitore del Sì al referendum - spiega: “È questione molto discussa in dottrina, dove forse prevale una tesi favorevole, anche perché in certi casi solo tramite questa via sarebbe possibile far valere le regole costituzionali sulle (talvolta pessime) prassi parlamentari”. Il breve intervento, dall’allure sorprendentemente grillina, apparso sul sito Lacostituzione.info prosegue così: “La frequente e poco tollerabile spregiudicatezza delle Camere nell’aggirare, derogare e interpretare con molta creatività le norme costituzionali e regolamentari, per non dire delle proprie prassi, potrebbe stimolare un atteggiamento della Corte costituzionale favorevole, se non a censurare la terza legge elettorale consecutiva approvata dal Parlamento, almeno a precisare se e in che termini i parlamentari e i loro gruppi possano difendere le loro prerogative davanti al giudice costituzionale”.
Con lo strumento della fiducia, nota Paolo Maddalena, vicepresidente emerito della Consulta sempre su Nomos , “non previsto in Costituzione, ma dai Regolamenti parlamentari, in realtà è stata coartata la volontà del Parla mento, poiché è stato costretto a scegliere tra la eventuale approvazione della legge senza altre conseguenze, ola sua non approvazione produttiva di una crisi di governo”. Tuttavia, secondo giurisprudenza consolidata da almeno tre decenni, la Corte non ritiene di poter intervenire sui cosiddetti “interna corporis”, i regolamenti degli organi costituzionali. È verosimile chela Camera di consiglio decida per l’ inammissibilità, in accordo coi desiderata del Colle. O forse no sei rumors sulle indecisioni del collegio sono veri.
Vizio di forma
La legge varata con la procedura “veloce”, ma la Carta prescrive “quella normale” Il nodo giuridico
I ricorrenti sono parlamentari M5S: la Corte dovrà decidere se ne hanno il potere