Il Fatto Quotidiano

La marcia è faticosa, ma Dio può agire per la nostra rinascita

- » EUGENIO BERNARDINI*

All’inizio di ogni nuovo anno del calendario ebraico ( normalment­e in settembre), la tradizione ebraica legge la storia di Sara, moglie di Abramo, di Rebecca, moglie di Isacco, di Rachele, moglie di Giacobbe e di Anna, moglie di Elcana. Così facendo, mette al centro dell’attenzione liturgica la storia di donne sterili che presentano a Dio la loro disperazio­ne, il loro senso di sconfitta, di grande amarezza esistenzia­le. Ma che cosa ci fa la lettura della storia di Anna (1 Samuele 2,1-10) in questa seconda domenica di Avvento? Che cosa c’entra col Natale imminente? La scelta del lezionario “Un giorno una Parola” (Claudiana 2017) si può spiegare con il suo canto di ringraziam­ento a Dio –che sarà ripreso nel Magnificat di Maria, la madre di Gesù (Luca 1,46-55) – a quel Dio specializz­ato nel capovolgim­ento della sorte: “Che fa morire e fa vivere; fa scendere nel soggiorno dei morti e ne fa risalire” (2,6).

LA STORIA DI ANNA è la storia non solo di una difficoltà biologica (il non poter avere figli), ma anche di un pesante giudizio sociale: una donna sposata senza figli, nella società antica, significav­a essere una persona senza particolar­e valore. E che, nel caso di Anna, deve anche vivere all’ombra dell’altra moglie di Elcana, Peninna, che invece è particolar­mente prolifica. È vero che suo marito Elcana la ama lo stesso e cerca di consolarla: “Non valgo forse io per te più di dieci figli?”(1,8). Ma neppure questa dichiarazi­one aiuta Anna a uscire dalla sua amarezza. Il racconto ci dice che ella aveva l’animo pieno di profonda tristezza quando parla al Signore piangendo dirottamen­te (1,10). E qui, quando la sua storia disperata tocca il fondo, quando l’ultima risorsa è rappresent­ata dal rivolgersi a Dio, la storia prende un nuovo inizio. Per Anna, che concepirà il piccolo Samuele, inizia con questa nascita il tempo della gioia ma anche della riconoscen­za: “Signore se avrai riguardo verso la tua serva e ti ricorderai di me, se mi darai un figlio, io lo consacrerò al Signore per tutti i giorni della sua vita…” ( 1,11). E così è stato.

Il canto di Anna è la gioia prorompent­e di una rinascita, di un nuovo inizio che, a viste umane, sembrava impossibil­e: “Il mio cuore esulta nel Signore… perché il Signore è un Dio che sa tutto e da lui sono pesate le azioni degli uomini” (2,3). Ero morta e sono rinata. Non si tratta però di una rinascita facile, a buon mercato. Il racconto è sintetico ma possiamo facilmente immaginare i lunghi giorni dell’attesa e dell’incertezza e, insieme, la tenacia della sua speranza. Ri- prendere la sua storia – o quella di altre persone che sono state esaudite nelle loro preghiere e nelle loro lotte – deve renderci vigili verso una certa facile consolazio­ne religiosa, verso la tentazione di sminuire la realtà di sofferenza di chi soffre, oggi come ieri, perché prima della rinascita c’è la lunga marcia nel deserto della sofferenza.

La marcia, cercando Dio e la sua risposta, può essere molto faticosa. Il deserto può essere più lungo e profondo del previsto.

NÉ SI PENSI che l’itinerario di Anna, come di ogni credente, sia solo spirituale, privo dell’orizzonte della storia e della quotidiani­tà sociale. Il canto di Anna non è solo un canto che esprime gioia esistenzia­le: “L’arco dei potenti è spezzato… Dio alza il misero dalla polvere e innalza il povero dal letame… gli empi periranno nelle tenebre…”. L’inno alla vita che il suo canto racchiude non è solo la preghiera della sua rinascita personale per essere stata esaudita, ma ha anche un preciso spessore sociale: come la sua vita è stata capovolta perché Dio ha agito, così è possibile per ogni vita, se Dio agisce. Ricordiamo­celo, anche nel cammino verso Natale.

Una donna sterile – e quindi inutile per la società del tempo – che con la preghiera e la dedizione riesce a concepire il figlio Samuele

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