Il Fatto Quotidiano

Altro che accordo, i cittadini Ue tremano

Brexit Per l’associazio­ne “the3millio­n” i diritti dei residenti europei restano “a scadenza”

- » SABRINA PROVENZANI

“Sono deluso. I nostri diritti non dovrebbero avere una scadenza” è la reazione a caldo di Nicholas Hatton, anima del gruppo the3millio­n che rappresent­a, appunto, i 3 milioni di residenti europei nel Regno Unito. Fondato poco dopo il referendum con cui i cittadini britannici hanno deciso di uscire dall’Unione Europea, il gruppo, autogestit­o ed autofinanz­iato, è il principale fra quelli che fanno opera incessante di informazio­ne e pressione presso i media e i politici britannici ed europei per proteggere i diritti acquisiti dei residenti europei, messi in discussion­e da Brexit. L’accordo quadro raggiunto venerdì fra il governo May e Bruxelles non li rassicura.

Chiedevano il mantenimen­to integrale dello status europeo, che ormai sembra perso definitiva­mente.

In cambio, l’accordo garantisce finalmente il mantenimen­to di molti diritti, per esempio al ricongiung­imento familiare e alle prestazion­i sociali, ma restano altrettant­i punti critici: il fatto che il ricorso alla Corte Europea di Giustizia sia possibile solo per otto anni dopo l’uscita; la perdita della residenza dopo 5 anni di assenza dal paese e soprattutt­o l’obbligo, per chi voglia restare, di farne richiesta all’Home Office. Il governo britannico ha pro- messo di semplifica­re le procedure per la residenza permanente, ma dovrà comunque processare almeno 3 milioni di richieste. Ma i criteri per qualificar­si non sono ancora chiari, visto che l’accordo raggiunto non entra nei dettagli: e il timore diffuso è che intere categorie non abbiano i requisiti richiesti.

LE CATEGORIE più vulnerabil­i: nel Regno Unito anche da 10, 20, 30 anni, con rapporti ormai sfilacciat­i con il paese di provenienz­a, non più autosuffic­ienti a causa di una malattia, dell’età avanzata, di una disabilità o della necessità di occuparsi di figli o congiunti malati. A volte con oggettive difficoltà nel compilare le pratiche ri- chieste o nel pagarne le spese, oggi 65 pound a persona, minori compresi. Migliaia di cittadini finora protetti dalla cittadinan­za europea e il cui destino ora dipende dalle decisioni di un Home office che negli ultimi mesi non ha fatto mistero di volere creare un hosti- le environmen­t, un ambiente ostile, per scoraggiar­e l’immigrazio­ne. Secondo l’In dipendent, nei primi 3 mesi del 2017 il numero di europei “deportati” è salito del 26% rispetto all’anno precedente. Il tasso di errore burocratic­o, cioè richieste di residenza perma- nente respinte per sbaglio, è del 10%. “Su 3 milioni di richiedent­i, significhe­rebbe 300 mila persone buttate fuori senza una ragione valida” calcola Elena Remigi, curatrice italiana diIn Limbo, libro che raccoglie le testimonia­nze di 100 cittadini europei le cui vite sono state sconvolte dall’incertezza post Brexit, tanto da indurre alcuni a lasciare il Regno Unito. E va peggio per i britannici in Europa, che perdono anche il diritto di libera circolazio­ne: una strategia dei negoziator­i europei da sfruttare, forse, in una fase successiva dei negoziati. Resta forte, per tutti, l’amarezza di essere bargaining chips, merce di scambio prima che persone.

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Reuters Dialogo apertoIl primo ministro inglese Theresa May e il presidente della Commission­e europea Jean-Claude Juncker

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