Trump, la strategia del babbeo e il pasticcio di Gerusalemme
Macron a Netanyahu: “Pace a rischio”
Un fiume di distruzione percorre il Medio Oriente, gonfio di rabbia e di sangue. Ci sono amici e nemici in un alternarsi continuo. È un fiume che cambia percorso all’improvviso, come quando l’Arabia Saudita ha spostato improvvisamente i colpi della sua forza sullo Yemen (portando quel Paese alla distruzione quasi totale e provocando, nel lungo stato d’assedio, una epidemia di colera). E intanto ha sequestrato il primo ministro libanese in visita, e lo ha restituito solo dopo ignoti accordi col presidente francese Macron. Tutto ciò intorno alla rivoluzione e poi alla guerra dentro la Siria, contro il Califfato e, allo stesso tempo, con e contro i curdi, e mentre tutto si svolge su un vasto campo di combattimento in cui si accatastano i morti di intere popolazioni civili.
SE FOSSE UN FILM, nel cielo in tempesta si vedrebbero alternativamente i volti di Putin e di Trump: la Russia che condanna, abbandona o porta salvezza e l’America immobile. “America first” sembra significare “America stop”. Israele è restato fuori, in guardia, senza alcuna relazione col massacro medio orientale, salvo pochi colpi ben calcolati contro armamenti iraniani in Siria, quando tentano di piazzare o allargare le loro basi in quel Paese. Questo vasto conflitto tra islamici, in parte arabi, e nemici in modo variabile, con variabili relazioni con l’Occidente, non tocca Israele. Improvvisamente, dal silenzio passivo e forse disorientato di Washington, irrompe la voce di Trump, che proclama Gerusalemme capitale di Israele.
“La storia dimostra che la dichiarazione di Trump non annuncia e non cambia niente (…). Infatti sono 3000 anni che Gerusalemme è il centro del popolo ebraico, il centro fisico fino alla distruzione del Tempio, e il centro di preghiera e di attesa quando il popolo ebreo è stato disperso nel mondo. E sono passati 70 anni dalla formale istituzione dello Stato di Israele accanto a uno Stato palestinese ( che i palestinesi hanno rifiutato, ndr). A quel punto Gerusalemme è diventata senza equivoci capitale dello Stato di Israele, che gli estranei lo riconoscano o no”, ha scritto Shmuel Rosner in apertura del New York Times( 8 dicembre 2017 ).
Invece l’annuncio di Trump cambia molto, non porta amici, dall’inizio della sua presidenza lavora a coltivare antipatie e inimicizie, non porta sostegno, fin dalla campagna elettorale ha stentoreamente affermato che ciascuno provvede a se stesso, ha allargato di molto la finestra sul Medio Oriente a cui da tempo si affaccia Putin che, a- desso, ha nuove motivazioni per spostare, secondo i suoi interessi, i pezzi del gioco.
MA RIVEDIAMO fin dall’inizio la strana storia, che è il contrario di quello che sembra: non un clamoroso gesto di amicizia, ma una occasione cercata, e finora non trovata dai nemici di Israele, per spo- stare almeno in parte su quel Paese l’odio feroce tra islamici. Donald Trump, 45º presidente Usa, ha giurato in un giorno di pioggia davanti a un piazzale di ombrelli non troppo affollato, e ha subito detto, ripetuto e confermato che il suo era stato un evento grandioso, una giornata di sole e un mare di gente, e che mai nes- suno aveva avuto un ingresso così trionfale alla Casa Bianca. Da allora Trump pratica il gioco di affermare e ripetere la sua verità alternativa, disprezzando apertamente ogni tentativo di verificare la prova dei fatti in una sua personale rappresentazione del mondo, negata da tutti tranne che dal suo cerchio di neo-no- minati alla Casa Bianca (nessun politico), di relazioni private e di famiglia, ritaglia le immagini del passato e, secondo una pratica sovietica, cancella eventi e persone che non gli piacciono e incolla la sua immagine come solo e unico.
GERUSALEMME è il primo caso in cui Donald Trump non si affida alle verità alternative, che sono il suo mondo. Afferma di essere l’unico presidente ad avere il coraggio di spostare l’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, perché sia segno tangibile del ricono-