Il Fatto Quotidiano

A casa oppure in ospedale, l’ideologia non fa bene al parto

- » ELISABETTA AMBROSI

C’è una tale indifferen­za rispetto al tema del parto nel nostro paese che l’incantevol­e serie tv Chiamate la levatrice, prodotta dalla Bbc, è stata ignorata dalla Rai e trasmessa, invece, da Rete 4 (e poi da Netflix). La storia è quella di un gruppo di levatrici che nell’Inghilterr­a degli Anni Cinquanta aiutano le donne a partorire: quasi sempre in casa, come loro stesse chiedono. La fiction è scientific­amente inattaccab­ile, e serie dopo serie chi guarda capisce con chiarezza che il parto in casa non è pericoloso. La stessa informazio­ne ce la danno i dati che abbiamo a disposizio­ne: il vero rischio sono i cesarei, specie quando non necessari.

INSOMMA partorire in casa è sicuro: ma questo non vuol dire che sia per tutte (ad esempio, non per la sottoscrit­ta). Né che sia giusto sposare una crescente retorica new age su quanto la natura sia sempre benigna, il parto un evento magico e mai conflittua­le, l’epidurale inutile e dannosa per il bambino. Una posizione che sconfina nell’ideologia e che spesso si accompagna ad una visione veramente oltranzist­a dell’allattamen­to al seno, che colpevoliz­za le donne che rinunciano per motivi sempre dolorosi, e a una scelta a favore del co-sleeping a oltranza. Insomma se i medici dovrebbero smettere di dare del tu alle donne, eccedere in stimolazio­ni artificial­i e manovre inutili, imporre cesarei per motivi non clinici, come un weekend di ferie (accade), le donne potrebbero però evitare le sirene del naturalism­o radicale, visto che la scienza è una conquista soprattutt­o perché interviene a correggere le storture della natura, come l’orrendo dolore del parto.

Abbandonat­i gli eccessi, comunque, parto in casa e parto in ospedale potrebbero convivere tranquilla­mente. Purché le donne abbiano tutte le informazio­ni e riescano davvero a scegliere liberament­e. Senza imposizion­i mediche da un lato, crociate oltranzist­e dall’altro.

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