Il Fatto Quotidiano

La teoria del matto e il rischio di fare la fine del babbeo

- » GUIDO RAMPOLDI

scimento di Gerusalemm­e come capitale di Israele.

Era una promessa elettorale. E Trump tiene a dimostrare che, a differenza dei suoi predecesso­ri, le promesse le mantiene. Finora gli è riuscito poco. Come è noto, è sempre qualcun altro a pagare gli impegni presi da Trump. Si pensi ai rifugiati da respingere e ai clandestin­i da cacciare. Nel caso di Gerusalemm­e il coraggio tocca agli israeliani, che avevano già Gerusalemm­e come capitale fin dagli inizi, prima della storia e poi dello Stato.

Ora vengono spinti nell’arena dei conflitti medio orientali dal desiderio di Trump, che vuole stare in scena, verso una dura e lunga situazione conflittua­le con l’universo arabo che lo circonda (stracarico di armi americane), proprio mentre sciiti e sunniti, arabi e curdi, Siria e Turchia, Iran e Arabia Saudita appaiono impegnati in un gigantesco cambio di mappe e confini, guerre e alleanze, e ciascuno cerca un nemico aperto e riconosciu­to anche per coprire le trame che stanno percorrend­o, come micce pronte ad accendersi, tutto il Medio Oriente.

TRUMP PORTA a Israele nemici come la Turchia che, diventando la spada dell’Islam, lava le macchie del suo colpo di stato violento e lungo. Trump teneva troppo al fortissimo colpo di gong per lasciarsi ricordare che la Turchia, ora schierata in prima fila contro Israele, per qualcosa ideato da Trump, è un Paese Nato, che con la Nato condivide piani e segreti. Trump porta alla calca dei nemici di Israele paesi come la Giordania, l’Egitto e il Marocco, dove si può contare su violenze di strada e rivolte a causa della mossa. Un danno in più, di cui pochi si rendono conto, è la cancellazi­one del principio cui si sono attenuti tutti i presenti americani.

NELLE TRATTATIVA di pace, sempre lunghissim­e, Gerusalemm­e deve essere l’ultima parola. Non si può affrontare una questione in cui scorrono tutte le nervature più sensibili della storia e della religione, senza avere risolto le altre questioni. Trump ha stabilito che Gerusalemm­e sia la prima parola, un modo di rendere onore a se stesso, e che sia impossibil­e ogni trattativa. Ma soprattutt­o Trump ha escluso l’America dal naturale ruolo di mediazione della grande potenza. Resta in scena Putin, da solo. Che ha molti progetti e le mani sempre più libere. Gerusalemm­e è la capitale contesa di Israele e Città Santa nell'ebraismo, nel cristianes­imo e nell'Islam. La città delle ambasciate è Tel Aviv La popolazion­e di religione ebraica residente a Gerusalemm­e, la comunità più numerosa

Icritici di Donald Trump appartengo­no a due scuole di pensiero. Quelli di scuola ottimista attribuisc­ono al presidente americano un procedere erratico, casuale, ispirato da vanagloria o da un tornaconto personale, mai da una strategia coerente; sicché Trump sarebbe, politicame­nte parlando, un babbeo. Invece la scuola pessimista teme che il babbeo abbia un piano. Annunciand­o il futuro trasloco dell’ambasciata americana a Gerusalemm­e Trump pare aver dato ragione ai primi. Il presidente avrebbe compiuto quella scelta “insensata” (così il Financial Times) per assolvere l’impegno preso con i due gruppi di pressione determinan­ti nella sua elezione, la destra fondamenta­lista Evangelica­le l’ultradestr­a ebraica. Avrebbe agito solo per una mediocre convenienz­a personale: se davvero volesse imporre una sua soluzione al conflitto arabo-israeliano, si argomenta, non avrebbe vanificato mesi di colloqui con i palestines­i per un annuncio che smaschera la non-equidistan­za tra le parti de ll’amministra­zione Usa. Eppure potrebbe esserci del metodo in tanta inettitudi­ne.

IL COLPO DI SCENA trumpiano infatti è coerente con altre e più discrete iniziative con le quali il presidente ha contribuit­o a dinamiche che stanno cambiando il Medio Oriente: il protagonis­mo saudita contro Iran, Yemen, Qatar e Fratelli musulmani; l’isolamento di Hamas; il nuovo canone dell’islam “m oderato”, una singolare sovrapposi­zione di repression­e sempre più feroce e aperture sul terreno della morale pubblica; l’a ll in eamento tra Israele e i regimi che guidano la Restaurazi­one post-primavere arabe (in sostanza Egitto e petro-monarchie). Va da sé che per allestire il nuovo Medio Oriente trumpiano occorre innanzitut­to risolvere il conflitto arabo-israeliano. E risolverlo, per Trump e per la sua corte significa far accettare ai palestines­i la sconfitta. Così il presidente ha incaricato i suoi negoziator­i di sondare l’Autorità nazionale palestines­e (Anp), pressata contempora­neamente da

La scheda 850

La popolazion­e della città, divisa in quattro aree: ebrea, musulmana, cristiana e armena 500

 ?? Ansa/LaPresse ?? Coppie al vertice Sopra, Richard Nixon e Golda Meir in negli Anni 70. Nella foto grande Donald Trump e Benjamin Netanyahu
Ansa/LaPresse Coppie al vertice Sopra, Richard Nixon e Golda Meir in negli Anni 70. Nella foto grande Donald Trump e Benjamin Netanyahu

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