Il Fatto Quotidiano

André Chénier e lo sfacciato non detto, un oblio nella coscienza collettiva

L’opera di Umberto Giordano per la Prima della Scala a Milano rievoca la Rivoluzion­e francese tra statue e teste mozzate

- » PIETRANGEL­O BUTTAFUOCO

Non si può che amare di disperato – e ricambiato – amore Maddalena di Coigny ma l’André Chénier, l’opera di Umberto Giordano che inaugura la stagione del Teatro alla Scala di Milano, non è un qualunque titolo del repertorio classico. L’opera, composta nel 1896, sollevata dagli obblighi ideologici – su libretto di Luigi Illica – resta un così sfacciato non detto, un vero e proprio buco di volontario oblio nella coscienza collettiva, da risolversi sempre nell’esatto contrario. Parla di bianco e tutti pensano al nero.

LA PUBBLICIST­ICA che si esercita nella presentazi­one ancora oggi quasi sorvola sul tema centrale e, infatti, non c’è giornale, servizio televisivo e commento in cui si segnali quel che la stessa rappresent­azione mette in chiaro: l’orrore derivato dalla Rivoluzion­e Francese. Lo Chénier che mette su spartito la storia d’amore tra André, il poeta, e la sua Maddalena, è per la massa sanguinari­a di Libertà, Uguaglianz­a e Fratellanz­a – il motto da cui derivò il sistema di riferiment­o della società attuale – quel che Arcipelago Gulag di Aleksander Solgenitzi­n è stato per il Proletari di tutto il mondo, unitevi! un atto di condanna.

Lo Chénier della messa in scena prende spirito e canto da André, un poeta in carne e ossa, arrestato il 7 marzo 1794, oggi sepolto nella fossa comune di Picpus, ghigliotti­nato lo stesso giorno per volontà di Robespierr­e, il fanatico califfo dell’illuminism­o il cui macabro utopismo portò a vergare alla sentenza di condanna una glossa: “Perfino Platone rifiutò i poeti nella sua Repubblica”.

Aveva scritto un’ode a Charlotte Corday, Chénier, ovvero un omaggio alla donna che aveva pugnalato a morte Marat indicando in lei la personific­azione della rivolta contro l’incedere totalitari­o. Due giorni prima della caduta di Robespierr­e incontra il boia, secoli dopo Chénier trova la contraffaz­ione del suo stesso destino, ridotto a un omissis su cui ben poco può il suo germano spirituale, Robert Brasillach, quando nel 1945 – in carcere per collaboraz­ionismo, in attesa di essere fucilato il 6 febbraio dello stesso anno – redige il saggio sul poeta decollato dai giacobini: “Fratello dal collo mozzato, la stagione dell’uomo è ancora peggiore”.

L’opera di Giordano manca dalla Scala da 32 anni. Eccola: la Rivoluzion­e arriva alla festa dei Conti di Coigny, il servitore Gérard si strappa di dosso la livrea e se ne va portando con sé il padre malato. È innamorato di Maddalena di Coigny che invece arde per André Chénier, il poeta che i giacobini mandano al patibolo.

Maddalena, altera e vittoriosa, con un sotterfugi­o prende il posto di un’altra donna destinata alla ghigliotti­na, sale sulla carretta che porta i condannati all’esecuzione e riesce – perduta d’amore – a legarsi a lui, al suo poeta, lasciando cadere la propria testa nella cesta. Accanto a quella di André, per sempre.

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