Pip, non fatevi allettare dal miraggio dei vantaggi fiscali e ricordatevi i costi
Con i Piani individuali previdenziali quello che si risparmia di Irpef si perde con le spese di gestione elevate
Fermarsi, se si è ancora in tempo. A fine anno molti si accingono a versare soldi in un qualche piano individuale previdenziale (Pip) o fondo pensione soprattutto aperto. Li sollecitano banche, assicuratori e sedicenti consulenti finanziari. La cosa sembra convenire, in particolare per chi ha redditi alti. La pubblicità, ma anche gli articoli dettati dagli uffici stampa, sbandierano “un vantaggio fino a 2.200 euro” su poco più di 5 mila euro versati ecc. Falso, ma purtroppo convincente. Molti che ripetono tale storiella non sono disonesti, ma solo incompetenti.
La cifra in questione è tutt’al più la minore imposta dovuta per l’anno in corso e non il vantaggio (o svantaggio) dell’opera- zione nel suo complesso. Per valutare il quale occorre tener conto anche dei vincoli e degli oneri che si accolla chi aderisce alla previdenza integrativa. In particolare dell’obbligo a restarvi dentro per anni con costi vari e forti rischi di malversazioni, molto facili per la totale assenza di trasparenza di fondi e Pip.
Ma il periodo è natalizio, per cui vogliamo cullarci nella più cieca fiducia nella bontà della natura umana. Supporremo quindi che mai nessuno rubi nulla e perciò non terremo conto dei possibili ammanchi, ma solo dei costi ufficiali. Per giunta pren- deremo i dati medi più bassi pubblicati dall’organo di vigilanza, certo non ostile ma semmai troppo partigiano a favore della previdenza integrativa. Cioè costi dell’1,2 per cento annuo per i fondi pensione aperti e dell’1,8 per cento per i pip su durate trentacinquennali, come da tabella 1.20 della Relazione Annuale 2016 della Covip.
Ebbene, bastano già questi per erodere quasi del tutto o trasformare in perdita il vantaggio fiscale anche nel caso dell’aliquota Irpef massima, ovvero il 43 per cento per redditi sopra i 75 mila euro annui. Darsi la zappa sui piedi, pur di pagare meno tasse, è un classico. A ben vedere non solo in Italia.
Contro ogni principio di stato sociale le cose vanno ancora peggio con redditi più bassi. Si aggiustano invece un poco - e qui contro ogni logica previdenziale - in prossimità dell’età della pensione: avvicinandosi ai 60 anni d’età il vantaggio fiscale è valutabile in un 2-3 per cento annuo, sempre nello scaglione reddituale più alto e in assenza di ruberie o altri costi occulti.
Come un tempo con le polizze vita e ora coi piani individuali di risparmio (Pir), il vero munifico regalo del fisco è all’industria del risparmio gestito, non ai contribuenti.