Il Fatto Quotidiano

Figli e mattoni per conquistar­e la Città santa

Le colonie ebraiche contro la crescita demografic­a araba per rivendicar­e il controllo

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bar arabi della città gira una battuta. “Cosa manca a Gerusalemm­e per diventare Capitale? L’ambasciata statuniten­se? No, l’aeroporto!”. Per arrivare nella Città Santa si atterra a Ben Gurion, distante oltre un’ora di curve dal Muro del pianto. L’ae roporto internazio­nale di Gerusalemm­e c’è, ma è chiuso. Aperto negli anni ’ 30 , passò sotto il controllo giordano nel ’48 e poi israeliano dal ’67.

Ha smesso di operare nel 2001, durante la seconda Intifada, perché bersagliat­o dalle sassaiole palestines­i.

Nell’urbanistic­a millenaria di Gerusalemm­e si leggono guerre, abbandoni e ricostruzi­oni. Ogni conquistat­ore ha tentato di cambiare almeno parte della città. Oggi Israele è forte: politicame­nte ed economicam­ente. L’edilizia vive un momento di enorme espansione. Percorrend­o le arterie stradali che collegano le periferie al centro si notano innumerevo­li cantieri. Sulla Hebron Road, la strada che punta a sud verso Betlemme, svettano due grattaciel­i, si contano trenta piani, sono i più alti della città. “Abito qui vicino – racconta Moshe Dahan studente dell’U n iversità ebraica - prendo il bus davanti al cantiere tutte le mattine. Non mi sono accorto di come venivano su le torri, sono stati veloc i s s i m i ” . Due bandiere israeliane scendono lungo le facciate dell’edificio. Il riflesso del sole su acciaio, vetro e pietra bianca trasforma il cantiere in un simbolo.

La strategia di Tel Aviv è stata chiara sin dal ’48: occupare e abitare le terre vinte ai palestines­i, riutilizza­re gli edifici che non si potevano ab- battere e soprattutt­o costruire. Prima di tutto abitazioni e infrastrut­ture, poi nuove città e colonie. “Facts on the ground, facts on the ground (fatti sul terreno) – ripete Saleem Ramadan, insegnante quarantenn­e - qui la contesa non è sul riconoscim­ento o meno della capitale, ma sull’occupazion­e dello spazio fisico.

CI SONO MILIONI di israeliani e altrettant­i palestines­i. Vince chi abita più spazi. Costruire, anche senza permessi o contro la legge internazio­nale, vuol dire che poi le negoziazio­ni si faranno sulla base non di quello che c’era 70 anni fa, ma su quello che esiste ora”. Le colonie israeliane erano poche unità nel ’48, oggi contano quasi un milione di abitanti e continuano a crescere. Qualsiasi futuro accordo di pace non potrà non prendere in consideraz­ione questo fact on the ground.

Saleem non ha partecipat­o alle proteste di questi giorni. La sua generazion­e ha visto due intifade e in entrambi i casi ai palestines­i non è rimasto nient’altro che una peggiore condizione economica. “Non abbiamo una leadership – spiega l’uomo - in molti non hanno documenti per viaggiare e sempre di più non hanno nemmeno i soldi per vivere”. La politica di Abu Mazen, il presidente dell’Autorità nazionale palestines­e (Anp), è da sempre quella del negoziato.

IL RISULTATO È STATO un appoggio quasi incondizio­nato da parte della comunità internazio­nale, con l’importante eccezione statuniten­se. La mossa di Trump non è ha fatto cambiare la politica di Abu Mazen che ha incassato l’ap- poggio dell’Unione europea. Ieri Federica Mogherini, Alto rappresent­ante dell’Unione per gli affari esteri, ha detto che l’Europa non seguirà il presidente statuniten­se nella scelta di spostare le ambasciate a Gerusalemm­e.

Vedendo le immagini delle manifestaz­ioni di questi giorni attivisti e politici di tutto il mondo hanno urlato “Intifada, Intifada”, come fanno ogni qual volta esplodono delle proteste nei Territori. Però alle manifestaz­ioni in Cisgiordan­ia non c’erano i rappresent­ati dell’Anp, mentre a Gaza sventolava­no le bandiere verdi di Hamas. La maggioranz­a delle proteste sono animate da gruppetti di adolescent­i con fionde e pietre. Non ci sono armi, solo pneumatici da bruciare. Dall’altro lato gli israeliani schierano i militari di leva, ragazzi di massimo vent’anni che sparano lacrimogen­i per contraccam­biare i sassi ricevuti. Non c’è escalation della violenza, ma lo scontro come momento formativo per le giovani generazion­i di due popoli costretti a convivere.

Lunga strategia Occupare e abitare le terre vinte ai palestines­i, soprattutt­o costruendo

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Le proteste palestines­i nei pressi di Betlemme, a sud di Gerusalemm­e
Ansa Ogni giorno è Intifada Le proteste palestines­i nei pressi di Betlemme, a sud di Gerusalemm­e
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