“Scuole per giudici Sono pericolose come un Far West”
■ I ricatti hard del consigliere di Stato, intervista al presidente dell’Anm Albamonte: “Realtà senza controlli, bisogna fermarli”
Giudici in tribunale e docenti nelle scuole private: la doppia casacca è espressamente vietata ai magistrati ordinari da una circolare del Csm fin dal 2011, confermata da una sentenza del Tar del Lazio del luglio scorso, ma non ai colleghi della giustizia amministrativa. Il risultato è che quel che accade realmente attraverso le aule e le lezioni online dei corsi di preparazione ai concorsi e agli esami per l’accesso alle professioni legali è coperto ancora da una nebulosa difficile da diradare.
LA VICENDAdi Francesco Bellomo, il consigliere di Stato di Bari, ex magistrato ordinario, messo sotto inchiesta disciplinare per chiarire la natura dei rapporti con le sue allieve, ha aperto uno squarcio inquietante sul ricco settore della formazione che ruota intorno agli aspiranti pm, giudici e avvocati.
In Italia l’elenco degli istituti che offrono corsi riempie molte pagine web. I prezzi richiesti per 130 ore di lezioni “frontali” oscillano tra i 1.200 e i 2.300 euro e la presenza di magistrati nel corpo docente e nei comitati scientifici è ritenuta imprescindibile. “Giudice della Corte dei Conti”, “Consigliere della Corte di cassazione”, “Ex magistrato ordinario, con le funzioni di giudice penale, poi magistrato amministrativo presso i Tar nonché giudice presso la Commissione tributaria provinciale”, oppure la generica e ricorrente dizione “corpo docente composto da magistrati delle Corti superiori”: sono le qualifiche che costituiscono il fiore all’occhiello delle pagine promozionali delle scuole, accanto ai profili di eminenti professori universitari e esponenti dell’ordine degli avvocati.
LA STRETTAfrequentazione a vario titolo di magistrati in servizio degli istituti di insegnamento privato possono assumere anche altre forme, come per esempio la regolare partecipazione all’att ivi tà convegnistica o la collaborazione fissa a riviste “in house”. Davide Nalin, il sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Rovigo finito sotto i riflettori dell’attività inquirente del Consiglio superiore della magistratura per la collaborazione con la scuola barese, non è l’unico magistrato ordinario che ritroviamo nella redazione della rivista omonima “Diritto e Scienza” di cui Francesco Bellomo è direttore scientifico. Vi compare anche il nome della dottoressa Valentina D’Aprile, giudice del Tribunale civile di Bari che, come riferisce il sito internet della scuola, è “responsabile di diritto civile della rivista”. E quello della dottoressa Alessia Iacopini, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Massa, “ricercatrice di prima fascia di “Diritto e Scienza” e, si legge nel profilo pubblicato “modella per l’agenzia Fashion Concept (2014-2016)”. Nell’elenco dei docenti che animano gli istituti di formazione, presenti praticamente in ogni provincia, fanno la parte del leone i magistrati dei tribunali amministrativi, giudici dei Tar e consiglieri di Stato in testa. E non perché siano ritenuti più preparati dei colleghi “ordinari” in materia di diritto penale.
IL VERO MOTIVO infatti origina in una circolare del Consiglio Superiore della Magistratura in materia di incarichi extra-giudiziari dei magistrati ordinari, approvata dall’assemblea plenaria nella seduta del 27 luglio 2011 (n. 19942 del 3.8.2011) nella parte in cui stabilisce che è vietato lo svolgimento, anche occasionale, di attività di docenza presso scuole private di preparazione a concorsi o esami per l’ac- cesso alle magistrature e alle altre professioni legali. Il provvedimento del Csm, nato per mettere argine a una pratica largamente diffusa negli ultimi decenni che favoriva commistioni e ingerenze tra i privati, i magistrati e i processi di selezione della magistratura stessa, è stato riconosciuto legittimo e inderogabile proprio da una sentenza del Tar del Lazio del luglio scorso. Il tribunale ha respinto un ricorso presentato da un magistrato ordinario napoletano che intravedeva nella proibizione a un incarico d’insegnamento ( con relativo compenso di 6mila euro) una limitazione della “libertà di pensiero”.
NELLA SENTENZA del Tribunale amministrativo del Lazio si legge che “risulta quindi legittimamente applicata la discrezionalità regolamentare da parte del Csm che non ha limitato “tout court” la libertà di pensiero, da potersi applicare anche attraverso momenti di trasmissione del medesimo a una platea di persone interessate, ma ha compiuto una doverosa e corretta attività di bilanciamento tra le aspirazioni del singolo e il potenziale contrasto con le prerogative di autonomia e indipendenza nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali del singolo magistrato”. Una tutela delle prerogative che evidentemente non ha la stessa rilevanza per i magistrati amministrativi. Un’altra conseguenza paradossale della sentenza del Tar è che ha mantenuto di riflesso “l’esclusiva” dei giudici amministrativi sul mercato delle docenze.
Senza limiti
Ma non ci sono vincoli per chi siede al Tar, al Consiglio di Stato e alla Corte dei Conti