Il Fatto Quotidiano

Chi va con chi nella diaspora alfaniana

Per non perdersi la futura collocazio­ne di Castiglion­e, Gentile o Misuraca

- » FABRIZIO D’ESPOSITO » GIANLUCA ROSELLI

Sindaco Mastella, il nome è Udeur 2 e ritorna sabato a Napoli. Manca un’aggiunta dopo il 2: la vendetta. O no? Non è vero che torno per una forma di rancore. Ho affrontato le mie vicissitud­ini con piglio socratico perché nulla avevo fatto di scomposto, ma il modo in cui siamo stati esclusi grida vendetta al cospetto di ogni divinità laica e religiosa.

Da ex Guardasigi­lli non vorrà però negare l ’o b b l i g a t o r i e t à de ll’azione penale per i politici?

Certo, io non voglio combattere la magistratu­ra ma allora si deve fare un tribunale speciale per i politici, con una procedura più agevole. Io ho aspettato dieci anni per avere giustizia con una sentenza e nel frattempo ho perso tutto.

Tutto tutto? Tenevo un partito, ero ministro, ora non ho più nulla. Io che cazzo me ne faccio di quello che posso recuperare adesso? Deve scrivere così.

Clemente Mastella è nato demitiano di sinistra nella Dc. Nella Seconda Repubblica è stato democristi­ano in varie forme. È stato sia ministro di Berlusconi sia di Prodi. La datazione delle sue “vicissitud­ini” è notissima. Era il 2008 ed era Guardasigi­lli nel governo del Professore. Mastella e sua moglie Sandra Lonardo vennero coinvolti in un’inchiesta sulla sanità in Campania. La moglie finì ai domiciliar­i. Il marito si dimise e il governo cadde. Il processo è terminato nel settembre di quest’anno: assolti. Oggi Mastella è sindaco di Benevento.

Ammetterà che la sua fama da capro espiatorio contempla anche l’eterna accusa di voltagabba­nismo.

Ecco qua. In un Paese che ha avuto più di 500 cambi di casacca nell’ultimo Parlamento venite a rompere le palle a me. Ma lei sa che cos’è l’Italia?

Domanda vasta.

Le racconto cosa successe a mio padre. Era un soldato italiano sul fronte estero della Seconda guerra mondiale e un giorno i tedeschi gli ordinarono di deporre le armi. Rimase impietrito e sorpreso, L’ultimo

rimasto in bilico era Antonio Gentile. Il sottosegre­tario allo Sviluppo finora veniva dato tra quelli in entrata nel centrosini­stra. E invece pare che andrà dall’altra parte, col centrodest­ra. Scelta non da poco, perché il nostro è di quelli che può vantare un discreto pacchetto di voti in Calabria e, in particolar­e, nel cosentino.

SI CONCLUDE COSÌ, con una sorta di mercato delle figurine, la scissione di Ap, anzi il “divorzio consensual­e” formalizza­to ieri dal secondo tempo della direzione alfaniana iniziata lunedì, dove si è votato a ll ’ unanimità il documento messo a punto da Lupi, Cicchitto, Lorenzin e lo stesso Gentile. Tutti d’accordo nel dividersi, senza contarsi, e quindi senza vincitori e sconfitti. Una stretta di mano tra gentiluomi­ni e addio senza rancore.

Il documento votato stabilisce innanzitut­to che i due gruppi parlamenta­ri di Camera e Senato (22 deputati e 24 senatori) si faranno garanti per l’esenzione dalla raccolta delle firme per le due future liste: questione fondamenta­le per tutti. Poi viene sancito una sorta di patto di consultazi­one anche per il dopo: pur su sponde opposte, gli ex alfaniani terranno aperto un canale di comunicazi­one sui problemi del Paese. Infine tutti s’impegnano a votare i provvedime­nti del governo Gentiloni finché resterà in vita.

La diaspora di quelli di Alternativ­a popolare modifica in parte lo scenario in vista delle elezioni nei due schieramen­ti. In entrambi i casi si va alle urne con un attacco a quattro punte. La differenza, però, è che nel centrodest­ra la cosiddetta “quarta gamba” si è fatta molto affollata. Ma staranno tutti lì dentro, non ce ne sarà una quinta. “Noi vogliamo sempli- ficare il quadro. La frammentaz­ione indebolisc­e e non conviene a nessuno”, spiega uno dei protagonis­ti, preferendo restare anonimo. “Non possiamo fare una lista con 22 sigle”, avverte Lupi. Al momento la quarta gamba – per cui ci sarebbe già il nome: “Italia per le libertà” - è infatti composta da Raffaele Fitto, G aeta no Quagliarie­llo, Lorenzo Cesa (che detiene il simbolo della Dc), Enrico Costa (che ha lasciato Ap lo scorso luglio), Flavio Tosi, Gianfranco Rotondi, Enrico Zanetti, Saverio Romano e Stefano Parisi. Della partita farà parte anche Clemente Mastella e forse pure Paolo Cirino Pomicino. Più, ora, Maurizio Lupi ei transfughi di Ap: Ro b e r t o Formigoni, Giorgio Lainati, Raffaele Cattaneo, Alessandro Colucci, Luigi Casero, Raffaello Vignali, Gabriele Albertini e Maurizio Sacconi (che sta già con Parisi). Poi il siciliano Nino Bosco e l’abruzzese Filippo Piccone. Forse Gentile. Insomma, ci sarà da fare a spintoni.

NEL CENTROSINI­STRA, invece, l’affollamen­to è minore. Oltre al Pd, ci sarà la lista Forza Europa di Bonino, Magi e Della Vedova e, forse, una lista ulivista che comprender­à gli orfani di Pisapia (come Tabacci), ulivisti (Santagata), i Verdi di Bonelli e i socialisti di Nencini. La quarta gamba sarà invece composta da Pierferdin­ando Casini, da Lorenzo Dellai e, appunto, dagli ex alfaniani, guidati da Beatrice Lorenzin e Fabrizio Cicchitto: Sergio Pizzolante, Guido Viceconte, Gioacchino Alfano, Dorina Bianchi, i siciliani Dore Misuraca e Giuseppe Castiglion­e, Rosanna Scopelliti e Laura Bianconi, per dirne alcuni. Anche qui ci sarà da spingere, ma un po’ meno.

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LaPresse Divorzio Beatrice Lorenzin andrà col Pd, Maurizio Lupi con FI

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