Il Fatto Quotidiano

ELVIRA, IL MIRACOLO DI SALVATORE

- » VERONICA TOMASSINI

Salvatore ha nel nome un destino. Salvare qualcuno, attraversa­re l’ora del deserto, anche, essere salvato, piegarsi sulle gambe nel bel mezzo di un cortile, supplicand­o l’Altissimo e chiedendo: perché? Come il biblico Giobbe, aveva perso tutto e il suo corpo era la piaga su cui il mondo incideva le sue empietà. Erano gli anni 80, Salvatore Ciranna, classe 1942, conduceva la vita di un balordo. Viveva in un palazzo abbandonat­o, in Ortigia a Siracusa, aveva conosciuto la solitudine, la disonestà degli altri, aveva bruciato i soldi guadagnati da gastarbeit­er in Germania a ragione di investimen­ti speculativ­i sbagliati. Conobbe Elvira, la sua amata Elvira, in quei giorni bui, quando tutto sembrava finito, irrevo- cabile. Ricorda di lei i suoi occhi grandi “come tutto l’un iv e rs o ”. Salvatore viveva di espedienti, Elvira invece era una maestra. Lui non aveva niente, fino a prima di incontrarl­a. Il giorno in cui supplicò l’Altissimo di risparmiar­lo, perché non ne poteva più, della miseria, della solitudine, ecco quel giorno incontrò Elvira.

Elvira camminava con un tutore, era poliomelit­ica, affetta da nanismo. Salvatore era un ex ginnasta, i suoi campioni erano i miti dell’epoca: Franco Menichelli, Carminucci, Cimnaghi. Aveva questa agilità. Conobbe Elvira per un caso, fu la risposta alla sua preghiera. Non erano ragazzini, en- trambi. “Neanche pensavo di potermi innamorare di lei”. Lei era diversa, era un angelo, dice. Ma incontraro­no soltanto ostilità, perché Elvira non era come gli altri. “Mio padre mi disse: lascia stare. Se la sposi, sei un pervertito”. Salvatore Ciranna non era un ragazzino. Lo trattavano come se lo fosse, perché il suo amore era una donna poliomelit­ica, neanche fosse un’ignominia. “Dissi a mio padre: tu non hai capito niente della vita. Hai 80 anni e non hai capito niente. Amare non è una colpa”. E invece si amarono, fuggirono, come si usa in Sicilia, lo facevano un tempo i giovani amanti quando erano osteggiati, un rituale oscuro e antico. Lo fe- cero anche loro. Volevano un bambino, volevano sposarsi. Non riuscivano ad averlo, pregarono ancora, nella clandestin­ità, nella paura che qualcuno riuscisse davvero a dividerli. E infine Elvira lo ebbe questo figlio, era una bambina, era una bambina perfetta, era sana. Sono rimasti trent’anni insieme. “Avevo perso tutto – ricorda l’uomo, che dipinge e vende i suoi quadri per strada, in Ortigia, a Siracusa – e con Elvira ho trovato tutto. Ho trovato anche un lavoro, sono stato un inservient­e in ospedale, ogni tanto riparavo qualcosa, cucivo i pantaloni, andavamo avanti con la nostra bambina. Sono stato felice”.

Quando in pullman la mattina scende, da casa fino in centro, incontra sempre la stessa donna, giovane, ha un fidanzato, anch’ella affetta da una qualche disabilità. Salvatore allora le racconta la sua storia d’amore e lei trepida e chiede: allora potrò avere un figlio? Anche io potrò avere un figlio? E Salvatore la rassicura. Potrai, le dice di solito e sorride. Se Dio vuole, potrai.

“Elvira era di più. La sua disabilità per me era di più, era un regalo. Era un angelo, mi manca”. Così si commuove. Elvira è morta tre anni fa, aveva 69 anni. Un infarto. Prima di morire gli strinse la mano, non aveva paura. “Mi ha dato quest’ultima lezione: Salvatore, non aver paura di morire, io non ho paura di morire”. E se n’è andata. Adesso Salvatore dipinge in strada perché la mancanza di Elvira poteva farlo ammalare. Oggi dipinge per strada o se qualcuno ne ha bisogno cuce e ripara per strada, pensando a Elvira. Questa è soltanto una storia d’amore.

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