Il Fatto Quotidiano

Viva il Fiscal compact La battaglia mancata contro l’austerità

- » STEFANO FELTRI

La battaglia contro il Fiscal compact assomiglia sempre di più alla rivoluzion­e attesa nella canzone di Giorgio Gaber: “Oggi no, domani forse, dopodomani sicurament­e”. Il premier Paolo Gentiloni andrà domani a Bruxelles per la riunione del Consiglio europeo: la linea del governo italiano, presentata ieri alla Camera e al Senato, è che le proposte avanzate il 6 dicembre dalla Commission­e di Jean Claude Juncker sono “una buona base di partenza”.

EPPURE, PER QUANTOrigu­arda il trattato sull’austerità, la traiettori­a sembra molto diversa da quella che i politici italiani avevano promesso ai loro elettori. Nel 2012 la Germania ispira un trattato intergover­nativo, parallelo alla legislazio­ne europea, che serve a rendere più stringenti quei vincoli di bilancio del Patto di Stabilità decisi a Maastricht nel 1992 che venivano violati da tutti (a cominciare dalla Germania). Tra i pilastri: obbligo di pareggio di bilancio struttural­e, cioè di tenere quasi a zero il deficit in rapporto al Pil, dopo aver considerat­o gli effetti del ciclo economico, per imporre più sacrifici nei tempi di crescita e meno durante la recessione. E poi la logica di impostare la politica di bilancio su più anni, per rendere credibili gli impegni, avere una autorità indipenden­te che vigila su questi numeri (in Italia è l’Ufficio parlamenta­re di bilancio) e il taglio del debito di un ventesimo all’anno per la parte che supera il 60 per cento del Pil.

Tra i punti più contestati c’è l’utilizzo di un parametro la cui misura è incerta, l’ output gap, quanto un Paese è lontano dalla sua crescita potenziale (per definizion­e non osservabil­e): diverse formule di calcolo producono differenze di miliardi. L’articolo 16 del Fiscal Compact, che l’Italia ha ratificato nel 2012 con l’i ntroduz ione dell’obbligo del pareggio di bilancio in Costituzio­ne, chiedeva ai 25 Paesi firmatari di decidere entro il primo gennaio 2018 che prospettiv­a dare al trattato, se inserirlo o meno nella legislazio­ne europea.

Matteo Renzi ha promesso che avrebbe fatto mettere il veto, il Movimento 5 Stelle ne fa un punto di campagna elettorale, in Italia e a Bruxelles. Ma come la rivoluzion­e di Gaber, dopodomani forse lo scontro ci sarà, quando nel 2019 bisognerà decidere se approvare la proposta di direttiva avanzata dalla Commission­e. Oggi no, tutti tranquilli, a cominciare da Renzi che ha smesso di parlare di Europa. “Per quanto riguarda il recepiment­o nella legislazio­ne europea della sostanza del Fiscal Compact, si apprezza la scelta di non incorporar­lo nei Trattati bensì di avviare un nego ziato su una proposta di direttiva”, si legge in una nota del ministero del Tesoro, che esulta anche perché viene recepita l’interpreta­zione flessibile delle regole per la quale si è battuta anche l’Italia (ottenendo il permesso a fare 19 miliardi di deficit dal 2015).

LA DIFFERENZA­tra direttiva e modifica dei trattati è più di forma che di sostanza. Certo, l’Italia potrà mettere il veto quando il Consiglio dovrà decidere all’unanimità se approvare la direttiva (da recepire poi nelle legislazio­ni nazionali). Ma è difficile opporsi all’ultimo se prima si è sempre stati d’accordo su tutto. E poiché l’Italia, come altri Paesi, ha già inserito i meccanismi del Fiscal compact nell’ordinament­o nazionale, la battaglia sull’ingresso del trattato nella legislazio­ne comunitari­a sarebbe potuta essere sui principi, non sui dettagli. “Il dibattito italiano sull’integrazio­ne del Fiscal Compact nella legislazio­ne europea è relativame­nte sporadico rispetto all’urgenza della scadenza ormai prossima, ma acceso e radicale. Non sembra sia diffusa né consolidat­a un’analisi approfondi­ta del suo effettivo funzioname­nto e dei risultati prodotti, precondizi­one per la modifica ai fini di un’eventuale quanto inopportun­a integrazio­ne”, scrivono 40 economisti – da Mauro Gallegati a Riccardo Realfonzo, a Gianfranco Viesti – in un appello alla politica perché non sprechi questo momento di discussion­e. “Si deve resistere all’integrazio­ne delle regole del Patto nel diritto comunitari­o, perché continuera­nno comunque a produrre il consueto ambiente deflazioni­stico”, scrivono i quaranta economisti.

Ma sui principi di fondo il dibattito è chiuso. Gentiloni non li contesterà domani a Bruxelles. Eppure la proposta di direttiva della Commiss i o n e è un manifesto di quella austerità contro cui politici di ogni schieramen­to si sono scagliati in questi anni: obbligo di pareggio di bilancio, aggiustame­nti automatici in caso di sforamento (con tagli alla spesa), riduzione del debito pubblico ogni anno.

Noi pensiamo che l’Italia debba porre il veto all’introduzio­ne del Fiscal compact nei trattati e stabilire un percorso a lungo termine MATTEO

RENZI Bilancio dei primi cinque anni L’appello di 40 economisti: “Servirebbe almeno una discussion­e sugli effetti prodotti da questi vincoli negli ultimi anni”

IN ITALIA quei vincoli sono in gran parte già stati recepiti. Ma se ora il governo e perfino le opposizion­i legittiman­o anche la filosofia sottostant­e, rendendola parte della legislazio­ne europea, poi sarà difficile o impossibil­e chiedere altra flessibili­tà o interventi keynesiani anti-crisi. Come si dice in certi m at ri mo ni , “chi ha qualcosa da dire parli ora o taccia per sempre”.

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Il presidente della Commission­e Jean Claude Juncker, Renzi e Gentiloni
Ansa Chi decide Il presidente della Commission­e Jean Claude Juncker, Renzi e Gentiloni
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