Viva il Fiscal compact La battaglia mancata contro l’austerità
La battaglia contro il Fiscal compact assomiglia sempre di più alla rivoluzione attesa nella canzone di Giorgio Gaber: “Oggi no, domani forse, dopodomani sicuramente”. Il premier Paolo Gentiloni andrà domani a Bruxelles per la riunione del Consiglio europeo: la linea del governo italiano, presentata ieri alla Camera e al Senato, è che le proposte avanzate il 6 dicembre dalla Commissione di Jean Claude Juncker sono “una buona base di partenza”.
EPPURE, PER QUANTOriguarda il trattato sull’austerità, la traiettoria sembra molto diversa da quella che i politici italiani avevano promesso ai loro elettori. Nel 2012 la Germania ispira un trattato intergovernativo, parallelo alla legislazione europea, che serve a rendere più stringenti quei vincoli di bilancio del Patto di Stabilità decisi a Maastricht nel 1992 che venivano violati da tutti (a cominciare dalla Germania). Tra i pilastri: obbligo di pareggio di bilancio strutturale, cioè di tenere quasi a zero il deficit in rapporto al Pil, dopo aver considerato gli effetti del ciclo economico, per imporre più sacrifici nei tempi di crescita e meno durante la recessione. E poi la logica di impostare la politica di bilancio su più anni, per rendere credibili gli impegni, avere una autorità indipendente che vigila su questi numeri (in Italia è l’Ufficio parlamentare di bilancio) e il taglio del debito di un ventesimo all’anno per la parte che supera il 60 per cento del Pil.
Tra i punti più contestati c’è l’utilizzo di un parametro la cui misura è incerta, l’ output gap, quanto un Paese è lontano dalla sua crescita potenziale (per definizione non osservabile): diverse formule di calcolo producono differenze di miliardi. L’articolo 16 del Fiscal Compact, che l’Italia ha ratificato nel 2012 con l’i ntroduz ione dell’obbligo del pareggio di bilancio in Costituzione, chiedeva ai 25 Paesi firmatari di decidere entro il primo gennaio 2018 che prospettiva dare al trattato, se inserirlo o meno nella legislazione europea.
Matteo Renzi ha promesso che avrebbe fatto mettere il veto, il Movimento 5 Stelle ne fa un punto di campagna elettorale, in Italia e a Bruxelles. Ma come la rivoluzione di Gaber, dopodomani forse lo scontro ci sarà, quando nel 2019 bisognerà decidere se approvare la proposta di direttiva avanzata dalla Commissione. Oggi no, tutti tranquilli, a cominciare da Renzi che ha smesso di parlare di Europa. “Per quanto riguarda il recepimento nella legislazione europea della sostanza del Fiscal Compact, si apprezza la scelta di non incorporarlo nei Trattati bensì di avviare un nego ziato su una proposta di direttiva”, si legge in una nota del ministero del Tesoro, che esulta anche perché viene recepita l’interpretazione flessibile delle regole per la quale si è battuta anche l’Italia (ottenendo il permesso a fare 19 miliardi di deficit dal 2015).
LA DIFFERENZAtra direttiva e modifica dei trattati è più di forma che di sostanza. Certo, l’Italia potrà mettere il veto quando il Consiglio dovrà decidere all’unanimità se approvare la direttiva (da recepire poi nelle legislazioni nazionali). Ma è difficile opporsi all’ultimo se prima si è sempre stati d’accordo su tutto. E poiché l’Italia, come altri Paesi, ha già inserito i meccanismi del Fiscal compact nell’ordinamento nazionale, la battaglia sull’ingresso del trattato nella legislazione comunitaria sarebbe potuta essere sui principi, non sui dettagli. “Il dibattito italiano sull’integrazione del Fiscal Compact nella legislazione europea è relativamente sporadico rispetto all’urgenza della scadenza ormai prossima, ma acceso e radicale. Non sembra sia diffusa né consolidata un’analisi approfondita del suo effettivo funzionamento e dei risultati prodotti, precondizione per la modifica ai fini di un’eventuale quanto inopportuna integrazione”, scrivono 40 economisti – da Mauro Gallegati a Riccardo Realfonzo, a Gianfranco Viesti – in un appello alla politica perché non sprechi questo momento di discussione. “Si deve resistere all’integrazione delle regole del Patto nel diritto comunitario, perché continueranno comunque a produrre il consueto ambiente deflazionistico”, scrivono i quaranta economisti.
Ma sui principi di fondo il dibattito è chiuso. Gentiloni non li contesterà domani a Bruxelles. Eppure la proposta di direttiva della Commiss i o n e è un manifesto di quella austerità contro cui politici di ogni schieramento si sono scagliati in questi anni: obbligo di pareggio di bilancio, aggiustamenti automatici in caso di sforamento (con tagli alla spesa), riduzione del debito pubblico ogni anno.
Noi pensiamo che l’Italia debba porre il veto all’introduzione del Fiscal compact nei trattati e stabilire un percorso a lungo termine MATTEO
RENZI Bilancio dei primi cinque anni L’appello di 40 economisti: “Servirebbe almeno una discussione sugli effetti prodotti da questi vincoli negli ultimi anni”
IN ITALIA quei vincoli sono in gran parte già stati recepiti. Ma se ora il governo e perfino le opposizioni legittimano anche la filosofia sottostante, rendendola parte della legislazione europea, poi sarà difficile o impossibile chiedere altra flessibilità o interventi keynesiani anti-crisi. Come si dice in certi m at ri mo ni , “chi ha qualcosa da dire parli ora o taccia per sempre”.