Il Fatto Quotidiano

Trattativa, atto finale in aula Alla sbarra c’è ancora Dell’Utri

Lo Stato negoziò con Cosa Nostra? Mancino accusato di falsa testimonia­nza

- » GIUSEPPE LO BIANCO E SANDRA RIZZA IMPUTATI

Il ruolo di Silvio Berlusconi nella stagione delle stragi così come lo racconta in carcere il boss Giuseppe Graviano. Le manovre del Quirinale per scippare l’inchiesta al pool di Palermo stoppate da Pie ro Grasso che nel 2012, a capo della Dna, rifiutò di avocare il fascicolo. Le agende di Carlo Azeglio Ciampi sui rischi di un golpe nella notte delle bombe del luglio ’93. Le dichiarazi­oni dell’ex ambasciato­re Francesco Paolo Fulcie le telefonate della Falange Armata partite da luoghi coincident­i con le sedi periferich­e del Sismi. Le origini della carriera del generale Mario Mori nel Sid negli anni della strategia della tensione raccontate dal colonnello Massimo Gi ra udo , esperto di trame nere.

DOPO tre anni e mezzo, le deposizion­i di una trentina di pentiti e di circa 250 testi, il conto alla rovescia è cominciato: domani il presidente della Corte d’assise di Palermo Alfredo Montalto d ichiarerà chiuso il dibattimen­to e venerdì il pool Stato-mafia avvierà la sua requisitor­ia ripercorre­ndo daccapo l’architrave dell’accusa sviluppata in 202 udienze che hanno arroventat­o l’aula bunker come non si vedeva dai tempi del maxi-processo. La sentenza sulla trattativa Stato-mafia è attesa per la prossima primavera: fino ad allora il giudizio che ha smantellat­o la profezia di Leonardo Sciascia provando per la prima volta a processare pezzi dello Stato, promette di spaccare ancora il Paese tra giustizial­isti e garantisti, tra chi si interroga sulla stagione più oscura della storia italiana recente e chi definì il dibattimen­to di Palermo “una boiata pazzesca”, sulla scia delle tesi del giurista

Giovanni Fiandaca , parlando di patacche scambiate per prove.

Mafiosi, politici e ufficiali dei carabinier­i sono accusati di aver dialogato dietro le quinte istituzion­ali sul tema della sicurezza nazionale nel processo che ha chiamato a testimonia­re tutta la nomenklatu­ra dello Stato: dal presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano al presidente del Senato Piero Grasso, dagli ex ministri Giuliano Amato, Claudio Martelli, Vincenzo Scotti, Paolo Cirino Pomicino, Carlo Vizzini, Ciriaco De Mita, Arnaldo Forlani ai dirigenti di Via Arenula e Palazzo Chigi Fernanda Contri, Liliana Ferraro e Livia Pomodoro, dai vertici della Cassazione Gianfranco Ciani, Pasquale Ciccolo, Vitaliano Esposito, agli ex capi del Dap Adalberto Capriotti, Andrea Calabria, Nicolò Amato, ma anche i monsignori Cesare Curioni e Fabio Fabbri, fino ai capi degli apparati Gianni De Gennaro e il generale Giorgio Cancellier­i. È lui il primo a descrivere un contesto trattativi­sta tra Stato e mafia nella conferenza stampa seguita all’arresto di Totò Riina il 15 gennaio ’93. “A Riina – dichiarò – sono riconducib­ili episodi di criminalit­à per mettere in discussion­e l’autorità is ti tu zi on ale... quasi a istituire una Trattativa per la liquidazio­ne di u n’intera epoca di lutti e stragi”.

Parole che Cancelleri, a distanza di 24 anni, non ha saputo spiegare e che oggi risuonano come la prima conferma istituzion­ale dell’esistenza di un dialogo tra Stato e mafia. Sotto il profilo investigat­ivo, la parola “Trattativa” ricompare otto mesi dopo, il 10 agosto del ’93, nell’informativ­a della Dia di Gianni De Gennaroche lancia l’allarme sulla gestione del carcere duro, segnalando il rischio di un ricatto allo Stato. Ed è proprio questo, il ricatto alle istituzion­i, il tema del processo giuridica- mente condensato nei capi di imputazion­e che hanno suscitato le più infuocate polemiche: gli articoli 338 e 339 che sanzionano la minaccia al corpo politico dello Stato. Una minaccia rilanciata da Massimo Ciancimino, l’i mpu tato-testimone che nel 2005 ai pm raccontò gli incontri segreti tra suo padre don Vito Ciancimino e gli ufficiali del Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno.

NESSUNO, tra investigat­ori e politici interrogat­i nell’aula bunker, ha mai riconosciu­to l’esistenza di un dialogo tra Stato e mafia. Anche se Giorgio Napolitano, il 31 ottobre 2014, ha dovuto ammettere davanti alla Corte d’assise che il movente delle bombe del ’93 era “l’aut aut allo Stato”. A gettare nuova luce sulla Trattativa avrebbe forse potuto essere un’intercetta­zione tra lo stesso Napolitano e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino captata alla fine del 2011, ma un conflitto di attribuzio­ne sollevato dal Quirinale davanti alla Consulta ne ha determinat­o la distruzion­e.

E così nell’aula bunker sono andate in scena le omissioni e i “non ricordo” dei testi eccellenti incapaci di spiegare persino i documenti politici e giudiziari dell’estate ’93: gli allarmi lanciati dal Sismi per il pericolo di attentati a Napolitano e Giovanni Spadolini e le relazioni della Dia e dello Sco che denunciava­no una prova di forza di Cosa Nostra nei confronti delle istituzion­i. Dal 27 maggio 2013, data della prima udienza, il processo ha perso i vertici di Cosa Nostra Riina e Bernardo Provenzano, imputati scomparsi a distanza di un anno, ma anche l’ex capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi e l’ex ministro Giovanni Conso, deceduti nel corso del dibattimen­to. Mentre quell oche ipm consideran­o il“regista” della Trattativa, l’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro , era scomparso nel 2012 nel corso delle indagini preliminar­i.

Dopo lo stralcio dell’ex ministro Calogero Mannino (assolto in primo grado con l’abbreviato), l’unico tra i politici a rispondere nel bunker del ricatto allo Stato oggi è Marcello Dell’Ut ri , che sconta già a Rebibbia una condanna a sette anni per mafia, mentre Nicola Mancino è accusato di falsa testimonia­nza. Per i pm, l’uomo di Berlusconi ha contribuit­o a sbloccare il passaggio tra la Prima e la Seconda Repubblica con la fondazione di Forza Italia, subito dopo l’arresto dei fratelli stragisti Giuseppe e Filippo Graviano nel gennaio ’94. Quel Giuseppe Graviano che in cella ha chiamato in causa Silvio Berlusconi indicandol­o di fatto come mandante delle stragi: ipotesi investigat­iva tuttora esplorata dalla Procura di Firenze.

Il calendario Domani si conclude il dibattimen­to e venerdì comincia le requisitor­ia dei pm

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L’accusa Sopra, il pm Nino Di Matteo in udienza nel carcere Ucciardone a Palermo LaPresse
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Nel 1992 ministro dell’Interno, è accusato di falsa testimonia­nza
NICOLA MANCINO Nel 1992 ministro dell’Interno, è accusato di falsa testimonia­nza
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È l’unico dei politici chiamato a rispondere per il ricatto allo Stato
MARCELLO DELL’UTRI È l’unico dei politici chiamato a rispondere per il ricatto allo Stato

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