Il Fatto Quotidiano

Suo nipote chiede il Pantheon, ma il re del fascismo resti dov’è

Savoia Vittorio Emanuele III è seppellito ad Alessandri­a d’Egitto: fu il sovrano di Mussolini, dell’alleanza con Hitler e dell’8 settembre

- » VITTORIO EMILIANI

Gli 80 anni non hanno portato a Vittorio Emanuele di Savoia un po’di saggezza. Il primo erede maschio della ex Casa Reale italiana “sdoganato”, e quindi lasciato rientrare a suo piacimento dopo anni di divieti, ha infatti rampognato la sorella Maria Gabriella per aver riportato in Italia, nel monumental­e Santuario di Vicoforte nel Cuneese, la salma della nonna, Elena del Montenegro, senza avvertirlo e soprattutt­o senza chiedere che venisse sepolta solennemen­te nel Pantheon di Roma.

Ora, Vittorio Emanuele, fra l’altro tessera n.516 della Loggia segreta P2, “in sonno”, autore di gesta assai poco onorevoli, se la prende con la sola parente che si sia occupata dell’importanti­ssimo archivio di famiglia, per aver compiuto con discrezion­e, “in totale anonimato e segretezza”, sottolinea lui, la traslazion­e della salma, autorizzat­a dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. E conclude solenne: “Giustizia sarà fatta quando tutti i sovrani sepolti in esilio riposerann­o nel Pantheon di Roma”.

La sola che meriti un riconoscim­ento particolar­e è semmai Mafalda di Savoia Assia, figlia di Elena, morta dissanguat­a dopo una operazione dall’esito disastroso dei chirurghi delle Ss, nel lager di Buchenwald. Il cognato Carlo Calvi di Bergolo, marito di Jolanda, trattò infatti il suo inseriment­o fra i partigiani dell’Oltrepò, ma, raccontava ri- dendo il loro comandante, Italo Pietra, “la trattativa si interruppe sulla richiesta di un cambio di biancheria assicurato ogni settimana...”. Maria Josè, moglie di Umberto, ma soprattutt­o figlia di Elisabetta “la rossa” del Belgio, fece lei visita ai partigiani della Valsesia.

Umberto non se la sentì. Volle però passare in rassegna, a guerra ormai finita, la Divisione Cremona del Corpo di Liberazion­e nazionale sul delta del Po e nell’immensa piana di Codevigo il principe ereditario si apprestò alla parata in un soleggiato fine aprile. All’“aaattenti!” i partigiani ravennati di Arrigo Borldrini (Bülow) scattarono sbattendo i tacchi, come pure al successivo “presentat-arm!”. Al contrario militari e ufficiali della Cremona si misero “in riposo” e, invece delle armi, presentaro­no al prence un gigantesco “pernacchio” che seguì per tutta la “riv is ta ” Umberto, impassibil­e, pallidissi­mo, con la mano destra rigida sulla visiera. Era il saluto di combattent­i, spesso ex monarchici delusi, battutisi con coraggio per l’Italia democratic­a a fianco dell’VIII Armata.

SUL RITORNO invece in Italia della salma di Vittorio Emanuele IIIqualche serissimo problema si pone: è stato il re che non ha fatto nulla per fermare lo squadrismo e l’ascesa violenta di Mussolini al potere; è stato il sovrano che ha firmato tardi e male l’armistizio consentend­o ai tedeschi di invadere l’Italia e fuggendo poi al Sud già liberato. Lo stesso Umberto II – che pure non si sarebbe segnalato per particolar­e coraggio – si disperava di partire così, ripetendo “Che vergogna, che vergogna”. Ma il padre, cinico, lo esortava a calmarsi e a partire: “Va bene così, va bene così, Bepo”. E quando li raggiunse un motociclis­ta, mandato dal generale Giacomo Carboni ad inseguire il corteo di auto diretto a Pescara per chiedere istruzioni sul da farsi (cioè sulla difesa di Roma dai tedeschi), Vittorio Emanuele III rispose secco: “Dite al generale Carboni che si arrangi”. E lui si arrangiò, anche facendo consegnare due camion di armi e munizioni ai partigiani guidati da Luigi Longo e da Antonello Trombadori.

Testimone attivo il giovanissi­mo Adriano Ossicini, cattolico comunista, che avrebbe poi concorso a salvare nei sotterrane­i del Fatebenefr­atelli gli ebrei sfuggiti alla terribile retata nazista del 16 ottobre 1943 nel Ghetto. Sarebbe bene, quindi, che Vittorio Emanuele III rimanesse dov’è, ad Alessandri­a d’Egitto.

Una protesta, però, il nipote Vittorio Emanuele, mancato re per fortuna dell’Italia, potrebbe saggiament­e elevarla: contro l’istituzion­e di un ticket ministeria­le di due euro per entrare al Pantheon dove è sepolto, con Umberto I, Vittorio Emanuele II “padre della Patria”.

Dinastia litigiosa

Il rientro delle salme è occasione per rinnovare la faida sabauda

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Da sinistra, il duce Benito Mussolini, il führer Adolf Hitler, re Vittorio Emanuele III con Elena del Montenegro

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