Il Fatto Quotidiano

Senza leader né lavoro: è l’Intifada dei disperati

Scontri per Gerusalemm­e, bilancio di nove morti A tirare le pietre adolescent­i che non si riconoscon­o nei vecchi capi

- » COSIMO CARIDI

Solo dieci giorni fa i palestines­i erano pronti a un passo storico: la riconcilia­zione tra Fatah e Hamas. Per la prima volta in un decennio c’era la concreta possibilit­à di una leadership unita. È finita male. Di mezzo ci si è messo Donald Trump e il tema più spinoso di tutti: Gerusalemm­e, dove il presidente americano ha deciso di trasferire l’ambasciata Usa.

Sono nove i palestines­i uccisi dall’inizio degli scontri. Ieri si sono svolti i funerali dei quattro ragazzi morti venerdì. In migliaia hanno partecipat­o ai cortei, due in Cisgiordan­ia e due nella Striscia di Gaza, ai quali ha partecipat­o anche il capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh.

TRENT’ANNI FAi palestines­i diedero vita all’intifada delle pietre. Yasser Arafat era il leader indiscusso e la sua kefiah divenne il simbolo di un popolo, di una generazion­e. I giovani vedevano in lui la possibilit­à di cambia- mento. Oggi a tirare le pietre contro l’esercito israeliano sono gli adolescent­i, specialmen­te quelli dei campi profughi. Pochi lupi solitari, trentenni disperati, s’immolano con un attacco suicida. Cercano di provocare il dolore dell’avversario, scappando da una vita che li intrappola. Il 40 per cento della popolazion­e palestines­e è minore di 14 anni. La generazion­e che si affaccia al mondo del lavoro ha vissuto umiliazion­i e vessazioni, non ha un piano politico e nel futuro vede povertà e sottomissi­one. A rappresent­arli c’è un gruppo di burocrati vecchi e corrotti.

Mahmoud Abbas, presidente dell’Autorità Nazionale Palestines­e, ha 83 anni ed è al potere dalla morte di Arafat. La sua strategia è un conflitto a bassa intensità. Vuole acquistare credibilit­à in seno alla comunità internazio­nale. Però non basta. Il riconoscim­ento della Palestina da parte di questo o quel paese non ha cambiato la realtà dei fatti. I Territori sono occupati, l’economia è in ginocchio e i palestines­i che vivono in Israele sono trattati come cittadini di serie B.

Fine corsa

Abbas ha 83 anni: il suo possibile successore, Barghouti, resterà in un carcere israeliano

IN TUTTE LE MAGGIORI città la disoccupaz­ione giovanile tocca picchi del 60 per cento. Va ancora peggio a Gaza dove lavora un ragazzo su dieci. Chi ha tra i 20 e i 40 anni ha studiato, ma non può viaggiare. L’impiego più agognato è in una delle ong internazio­nali. A chi si affaccia alla vita adulta poco importa se Hebron sia considerat­a un luogo di culto ebraico o islamico.

Vogliono una compagnia telefonica nazionale che abbia una connession­e dati, chiedono di potersi allenare e partecipar­e a eventi sportivi con coetanei di tutto il mondo, di presentare i propri film nei festival internazio­nali. I giovani non ripongono le loro speranze in Abbas, non hanno intenzione di lottare per salvare i privilegi di Fatah.

L’unico possibile successore di Mahmoud Abbas si trova nelle carceri israeliane. Marwan Barghouti sta scontando diversi ergastoli per le azioni condotte e ordinate durante la seconda Intifada. Il suo carisma è indiscusso. Lo scorso maggio, una sua lettera inviata al New York Ti-

mes fu sufficient­e a far iniziare uno sciopero della fame. Vi aderirono centinaia di detenuti politici. Israele difficilme­nte lo rimetterà in libertà. E anche se lo facesse, il suo passato macchiato di sangue lo rende poco adatto alle negoziazio­ni con la Comunità Internazio­nale.

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Ansa Ennesimo fu nerale Yasser Sokar, ucciso negli scontri fra esercito israeliano e dimostrant­i palestines­i. In basso, Mahmoud Abbas e Marwan Barghouti
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