“Studio e sacrificio, obiettivo? L’Oscar”
Nastro d’argento, candidato al Fabrique du Cinema, “Spadino” vola sui tetti di Roma
Già vincitore di un Natro d’argento come attore rivelazione per Il permessocandidato al Fabrique du Cinema (vinto in questa edizione internazionale da Simone Liberati) come attore emergente, Giacomo Ferrara, per tutti “Spadino” di “Suburra”, origini abruzzesi, all’Oscar ci sta “lavorando”. “Quando avevo otto anni ho deciso di fare l’attore, di venire a Roma a studiare, di fare cinema e di vincere la statuetta”.
È sicuro di avere 27 anni? Sì. Anzi, tutti mi dicono che ne dimostro meno, quindi daje. Mi riferivo ai riconoscimenti. Come si fa ad emergere in Italia alla sua età?
Mah, ci sono tante strade, ognuno deve trovare la sua. Ciò che vince è una personalità: quello che puoi dire e raccontare attraverso le sto- rie che interpreti. Nel mio caso anche impegno, sacrificio e studio. Questo mestiere lo vedo come qualcosa di artigianale.
Cosa ha studiato?
Fin dal liceo teatro e cinema soprattutto a livello teorico. Poi sono arrivato a Roma all’accademia Corrado Pani dove ho conosciuto Alessandro Prete, con il quale collaboro tuttora e con il quale studio i vari personaggi e lavoro sui miei limiti attoriali. Ho bisogno costantemente di perfezionarmi.
“Suburra” è stato un allenamento?
Suburra la serie è una delle ultime cose che ho fatto, in realtà. Prima ho recitato in Il permesso, con cui ho vinto il Nastro d’argento, poi c’è stato il film di Fulvio Risuleo Guarda in alto, con cui sono stato candidato per il Premio Fabrique du Cinema. E poi è arrivato Suburra. Sicuramente dietro a Spadino c’è stato un lavoro più sviluppato. Ma anche perché il genere serie permette di dare più sfumature al personaggio. Ma per “Spadino” ha avuto sicuramente più riferimenti anche nella realtà... Certamente è un personaggio molto divertente, con tantissime sfumature e quindi ti permette di raccontare i suoi drammi, la sua teatralità e la sua follia.
Invece il protagonista di “Guarda in alto”?
È stato meraviglioso. Ho vissuto l’avventura del mio personaggio che viaggia sui tetti di Roma, l’ho guardata da un altro punto di vista e sono partito dalla disillusione per la vita per poi arrivare a tornare a sognare.
A proposito di sogni, quali sono gli attori a cui si ispira, che le hanno fatto sognare di fare cinema?
A dire la verità, qualcuno che mi abbia fatto sognare da piccolo di fare questo mestiere non c’è stato. La mia famiglia ha un hotel in montagna e gli animatori per intrattenere la nostra clientela fanno degli spettacoli serali di cabaret. Ad un certo punto mi hanno messo sul palco e mi sono ritrovato al mio posto, il luogo al quale appartenevo. Crescendo poi ho iniziato ad apprezzare anche gli attori. Tra gli italiani c’è Elio Germano che per me è stato una grande ispirazione. A livello internazionale invece Daniel Day Lewis.
Si sente parte di una generazione di giovani attori, se ha senso questa definizione...
Nel laboratorio di Alessandro Prete mi scontro e incontro con altri attori della mia generazione con i quali cresciamo insieme. Anche tra gli stessi nominati al Fabrique ci sono attori che stimo. Uno è Liberati con cui ho lavorato in tre film senza mai incontrarci.
Cosa guarda in tv?
Non guardo la tv. Guardo le serie di Netflix.