Il Fatto Quotidiano

“La mia Irene condannata dalle leggi a un’atroce fine”

Fine vita La moglie di Andrea è morta ad agosto, a 28 anni,di cancro Voleva l’eutanasia, ma non ce l’ha fatta per le regole e la burocrazia

- » SELVAGGIA LUCARELLI

“L’agonia, Irene, non voleva offrirla come trofeo a quel mostro che le cresceva dentro”. Le parole di Andrea sono nitide, precise, dolenti. Parla per un’ora e mezzo e non c’è frammento della conversazi­one in cui si metta al centro della storia. Andrea, da agosto – mese in cui Irene è morta – ha perso dieci chili, ma “non scrivere di me, non sono importante, io sono il suo braccio armato”, mi dice. Irene era sua moglie. Con lei ha vissuto cinque anni di un amore radioso e poi due con una sentenza di morte di quelle che leggi in una radiografi­a e negli occhi onesti di un dottore. Un tumore, scoperto a 28 anni, il tempo e il mostro che corrono in fretta, le pratiche per morire in Svizzera senza soffrire che richiedono più tempo del previsto. Irene voleva l’eutanasia, ma il mostro aveva un passo più veloce di quello della burocrazia. E l’ha fregata.

Quando vi siete conosciuti? Nel 2009. Lavoravamo su un set cinematogr­afico, lei come segretaria di edizione, io come tecnico digitale.

Vi siete piaciuti subito?

Sì, ma io ero fidanzato, poi lei aveva 23 anni e io 30, temevo che potesse stare con me per un po’ e mollarmi. Alla fine mi ha portato dove voleva lei, era così bella e piena di energie che non potevo non cedere. Siete andati a vivere insieme?

Sì, lei ha preso un diploma da educatrice per cani e nel 2015 ha trovato lavoro in un canile. Era felice. Una felicità che sarebbe durata poco.

Quanto poco?

Ad agosto comincia ad avere la tosse. Le dicono che è laringite. Il 17 partiamo per qualche giorno in Abruzzo e lì le viene la febbre alta. In ospedale le diagnostic­ano una pol- monite. Pensiamo alla sfiga di avere pochi giorni di vacanza e pure rovinati. Torniamo a Roma e per un mese lei fa le cure per la polmonite.

Quando scoprite la verità? In ospedale notano che Irene ha le dita ‘a bacchetta di tamburo ’, ovvero le falangi ingrossate. Le fanno una broncoscop­ia. Il medico ci dice: ‘Vi devo parlare’. Ci spiega che Irene ha una massa tumorale di 5 centimetri nel polmone.

Non ancora una sentenza. È stato il primo pugno, il primo knock-out tecnico.

Poi altri esami.

La Tac total body. Speravamo che il tumore fosse solo nei polmoni, invece era già dappertutt­o. Linfonodi interessat­i, metastasi in varie aree: surrene, cresta iliaca, ginocchio, spalla.

Quella è stata la sentenza? Sì. Ci è scomparso il futuro.

Cosa diceva Irene?

Era terrorizza­ta all’id ea dell’ossigeno che a un certo punto le sarebbe mancato. Le faceva paura l’idea di morire soffocata.

Come si vive senza futuro? Ci siamo detti: ok, siamo in un buco nero del cazzo, arrediamol­o. Ci rimaneva solo il presente.

Il dolore è arrivato subito? Sì. Dopo pochissimo le si è frantumata la spalla. Poi due cicli di chemio. E a fine del 2015, mentre ero su un set, ricevo una telefonata: perforazio­ne del bronco. Devono operarla urgentemen­te, potrebbe non farcela.

Cosa vi siete detti prima dell’operazione?

Che se fosse uscita viva dalla sala operatoria ci saremmo sposati.

E così è stato.

Sì, il mio chirurgo preferito mi ha ri-regalato Irene. Ma quando è uscita dall’ospedale c’è una cosa che ha fatto prima ancora del matrimonio.

Cosa?

Ha contattato la Dignitas. Voleva sapere quali fossero le procedure per l’eutanasia. Il suo concetto di dignità era non finire la vita col carrellino e la maschera per l’ossigeno. Cosa ha rappresent­ato il matrimonio?

Un atto di rivalsa verso il tumore. Irene per le amiche era “Er Tigre”. Lei il tumore lo sfi- dava, lo perculava. Sposarsi era continuare a decidere lei come e quando. Ed è l’identico ragionamen­to sottinteso al suo desiderio di essere libera di decidere come morire.

Ha più contattato la Dignitas?

Abbiamo deciso di vivere il più possibile, Irene ha allon- tanato l’idea della morte e quando ormai era vicina, non c’è stato più il tempo per le pratiche.

Avete comprato un camper. Quel camper era l’urlo di Braveheart, era vivere. A giugno siamo stati 26 giorni in giro per l’Europa, tra Germania, Danimarca, Svezia. È stato meraviglio­so, Irene era sofferente, ma felice. Poi siamo arrivati nella Repubblica Ceca e le è tornata la febbre. Ho capito che il nostro viaggio era finito.

Siete tornati a Roma e cosa è successo?

Abbiamo fatto la Tac di controllo. Il tumore era dappertutt­o, se la stava mangiando.

Irene ha capito?

Sì, ha detto: è finita, ora lasciatemi morire. Aveva davanti a sé la sua più grande paura: la mancanza di ossigeno.

Ha deciso di ricontatta­re la Dignitas?

Sì. Irene non voleva l’agonia e non voleva offrirla come un trofeo al suo mostro. Era luglio, abbiamo iniziato le pratiche, ma non pensavamo che l’iter fosse così lento. Servivano moltissimi documenti, le risposte arrivavano via posta, c’era un refuso in una data e si è perso altro tempo, i versamenti dovevano partire dal conto di Irene ma lei era a letto e non poteva muoversi. Ad agosto Irene ha scritto a Marco Cappato per chiedergli aiuto.

Cappato cosa ha risposto? Ha visto il messaggio due settimane dopo, quando eravamo alla fine. Morire ad agosto è sbagliato.

Che vuol dire?

Irene ormai era a casa, a letto. Inizialmen­te aveva bisogno di una bombola di ossigeno al giorno, alla fine di tre. Le farmacie sotto Ferragosto chiudevano e per me reperirle era sempre più complicato, giravo come un disperato.

Si stava avvicinand­o la fine.

Era sotto morfina per il dolore. Aveva allucinazi­oni, vedeva i topolini sotto al letto, eppure aveva ancora la forza di riderci su. Gli ultimi giorni rantolava, era un supplizio vederla così. Però non mollava l’idea di decidere lei come morire, era convinta di avere ancora tempo. A due giorni dalla morte mi ha chiesto: ‘Hai fatto il bonifico?’. Io e suo papà l’avevamo fatto sapendo che non sarebbe servito. Però volevamo dirle ‘Sì’ potendola guardare negli occhi.

Vi siete detti addio?

Il 22 agosto, la sera, ci siamo detti: ‘Noi due ci siamo amati tanto’. Poi, il giorno dopo, me l’hanno sedata un po’ a tradimento, io le stavo chiedendo se voleva l’acqua calda o fredda e lei si è addormenta­ta. Quella notte, alle tre e mezzo, Irene è morta. Non l’ho potuta salutare.

Ti aveva mai chiesto di aiutarla tu a morire?

Sì. Mi aveva chiesto di essere l’esecutore materiale, ma non avrei mai potuto.

Perché hai deciso di raccontare questa storia?

È una battaglia per la libertà individual­e. Lasciare qualcuno “libero di decidere di voler decidere” non vuol dire essere della stessa idea. Io non lo farei. Irene lo voleva. E solo lei contava in quel momento. Era l’esempio di come si possa essere un inno alla vita e voler morire cantando quell’inno fino alla fine. Le hanno sottratto la voce per poterlo cantare.

Ti sarest i risparmiat­o quell’agonia anche tu.

In ogni rantolo, per quanto mi abbia fatto male, io sentivo ancora Irene lì con me. Ma quello che era meglio per me non conta. Irene voleva scegliere. E non ha potuto. Non c’è stato tempo.

Già. Perché questa “gnappetta con l’energia di una tigre”, come direbbe Andrea, era una ragazza a cui la vita ha negato il tempo per vivere e lo Stato, il modo in cui morire.

L’ASSOCIAZIO­NE DIGNITAS

“Dopo la diagnosi del tumore abbiamo deciso di sposarci, ma il primo passo è stato informarsi sulle procedure”

LE METASTASI PARTITE DAL POLMONE “Era terrorizza­ta dal trovarsi senza ossigeno ma il male è stato rapido e non è riuscita ad andare in Svizzera”

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La campagna L’associazio­ne Luca Coscioni denuncia la vicenda
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Irene e Andrea: lei è morta il 24 agosto scorso per un tumore al polmone senza poter avere l’eutanasia che sperava
Gli ultimi mesi Irene e Andrea: lei è morta il 24 agosto scorso per un tumore al polmone senza poter avere l’eutanasia che sperava

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