Lo scontro con Renzi su Unicredit e Popolari
Coincidenze? Dopo il no a salvare Etruria, stop dell’ex premier all’aiuto per l’istituto
La bomba arriva alla seconda ora di audizione. Pier Carlo Padoan spara un siluro contro Matteo Renzi e Maria Elena Boschi ricostruendo l’ultimo tassello del conflitto d’interessi imperniato su Banca Etruria. Rispondendo ad Andrea Augello (Idea) il ministro dell’Economia svela di essersi trovato in contrapposizione a Palazzo Chigi su due vicende bancarie di grande rilievo: le modifiche alla riforma delle popolari e quelle alla legge che permette alle banche di usare i crediti d’imposta generati dalle svalutazioni (le “Dta”), care soprattutto a Unicredit. È un punto di svolta per la commissione parlamentare sulle banche.
Augello chiede a Padoan: “Come mai abbiamo avuto una serie di richieste del Parlamento, del relatore, su provvedimenti che hanno visto il suo ministero concorde, ma che poi sono stati tutti bloccati da Palazzo Chigi? Questo vale per le Dta ma non solo”.
Perché si sono sbloccati gli sconti fiscali al gruppo di Ghizzoni? È cambiato il governo... L’AMMISSIONE
DI PADOAN
LE DTA SONO perdite delle banche che si trasformano in crediti fiscali, una manna per i bilanci. Unicredit è l’istituto che ne ha più di tutti (nel 2016 quasi 14 miliardi). Dal 2015 – ha ricostruito il Fatto – la banca allora guidata da Federico Ghizzoni chiedeva una norma per poterle utilizzare più agevolmente, e ha tentato di infilarla nei vari provvedimenti trovando sempre le porte sbarrate da Pa- lazzo Chigi, e in particolare da Maria Elena Boschi. Comportamento che dentro la banca alcuni imputarono al rifiuto opposto al salvataggio di Etruria chiesto a Ghizzoni dalla Boschi (tra fine 2014 e inizio 2015), come rivelato dal giornalista Ferruccio de Bortoli. Da allora col governo è calato il gelo. Augello ricorda che solo a febbraio 2017 (a governo Renzi caduto e con Ghizzoni via da Unicredit da 8 mesi), il Parlamento è riuscito ad approvare un emendamento chiave: lo slittamento di un anno del sistema con cui viene aggirato il divieto europeo di “aiuti di Stato” per le Dta pagando un canone di un anno, permettendo così agli istituti di usare quello versato nel luglio 2015 come acconto per il 2016 (un beneficio da 120 milioni per Unicredit). Una norma auspicata da tutti, Tesoro compreso, anche perché l’Italia aveva fatto partire il meccanismo dal 2015, invece che dal 2016 come indicato dall’Ue. Poco prima di Natale, Palazzo Chigi aveva fatto saltare l’ultimo tentativo parlamentare di inserire la norma. “Cosa è cambiato a febbraio 2017?” chiede Augello. “È cambiato, appunto, il governo”, spiega Padoan. Tradotto: non c’era più Renzi.
AUGELLO capisce la portata e insiste. Ricorda che Palazzo Chigi fece saltare anche un’altra modifica tentata da molti parlamentari bipartisan: quella alla riforma delle Banche Popolari approvata per decreto dal governo a inizio 2015. La riforma imponeva agli istituti con attivi superiori a 8 miliardi di quotarsi in Borsa e trasformarsi in spa. Gli emendamenti chiedevano di portare la soglia a 30 miliardi, sopra la quale entra in campo la vigilanza della Bce, visto che sotto quel limite era rimasta solo la Popolare di Bari in difficoltà. Il Tesoro era d’accordo ma, anche qui, nulla da fare. Diversi parlamentari ci riprovarono a fine 2016, dopo che il Consiglio di Stato aveva sollevato dubbi di costituzionalità su una parte del decreto, incontrando ancora – raccontarono fonti parlamentari – l’opposizione della Boschi, contraria alla norma perché richiesta dall’odiata Banca d’Italia. “È vero che il Tesoro era favorevole ma ci sono state divergenze con Palazzo Chigi sia sulle Dta che sulla soglia scelta dalla riforma delle popolari?” Chiede Augello. “Confermo che ci furono”, risponde Padoan. Domani Ghizzoni sarà interrogato dalla commissione pure su questi punti.