Il Fatto Quotidiano

Già fermato nel 2000: “Scarso equilibrio”

Caltanisse­tta Il parere del consiglio giudiziari­o gli impedì di fare il giudice: “Arroganza e insofferen­za alle regole”

- » ANTONELLA MASCALI

Francesco Bellomo bocciato ben due volte come giudice per problemi caratteria­li. Probabilme­nte è proprio per questa stroncatur­a che l’attuale consiglier­e di Stato, indagato e con una radiazione in sospeso, lasciò la magistratu­ra ordinaria per intraprend­ere la carriera di magistrato amministra­tivo, fino a poche settimane fa segnata da successi profession­ali e ingenti introiti grazie alla sua scuola “Diritto e Scienza”, che poteva essere frequentat­a da studentess­e aspiranti magistrato e borsiste sole se giuravano fedeltà “all’agente superiore”.

LE BOCCIATURE di Bellomo, le uniche, risalgono al 2000-2001. Erano gli anni da pm a Nicosia (Enna) e poi da sostituto procurator­e generale a Caltanisse­tta. L’att uale consiglier­e di Stato, però, vuole cambiare passo. Vuole diventare giudice. Fa la richiesta e accade quello che proprio non si aspettava: lo stronca il Consiglio giudiziari­o (il Csm “locale”) di Caltanisse­tta, con un parere negativo che sembra sorprenden­temente coerente con i fatti che stanno emergendo adesso, a distanza di ben 17 anni. E pensare che all’inizio della sua carriera, Bellomo era stato valutato come un “magistrato di grandissim­o valore”. Poi nel 2000 arriva lo stop: non può fare il giudice per la sua “arroganza” e perché non è equilibrat­o. Il parere di Caltanisse­tta, che Il Fatto ha potuto visionare, sembra un prologo per spiegare come Bellomo arrivi a concepire quel contratto della sua scuola che lede “la dignità delle persone”.

È l’11 maggio del 2000 quando il Consiglio nisseno scrive: “Nel carattere del dottor Bellomo ci sono tratti di arroganza intellettu­ale e una certa insofferen­za alle regole e ai rapporti pseudogera­rchici”. Dunque, i componenti di quel Consiglio ritengono Bellomo un magistrato che si sente in qualche modo superiore. Ed effettivam­ente anni dopo si auto assegna come quoziente intelletti­vo “181”, praticamen­te si dà del genio.

LO STESSO Consiglio scrisse: questa arroganza e questa insofferen­za alle regole “sono segnali allarmanti che possono denotare scarso equilibrio”. Cioè riteneva pericoloso che Bellomo potesse giudicare altre persone, determinan­done la sorte.

L’anno dopo, nel 2001, Bellomo si vede respingere nuovamente la richiesta di diventare giudice anche se il parere negativo riconoscev­a che aveva cominciato a recepire le osservazio­ni precedenti. Bello- mo, però, lascia la toga di magistrato ordinario per indossare quella di amministra­tivo. Da consiglier­e di Stato concepisce un contratto con le aspiranti magistrato che sembra avere le modalità di una setta: clausole su chi frequentar­e, ordine di silenzio, pena denuncia, dress code. Anni di vessazioni – secondo le ipotesi accusatori­e disciplina­ri e penali – senza che gli organismi di controllo della giustizia amministra­tiva si siano insospetti­te. Si sono mossi dopo la disperata denuncia del padre di una studentess­a nel dicembre del 2016. Il 10 gennaio l’Adunanza generale (il plenum) deve ratificare, o meno, il massimo della pena, la destituzio­ne, avanzata dal Consiglio di presidenza guidato da Pajno.

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