Il Fatto Quotidiano

I fondi per la ricerca di base aiutano i baroni

I finanziame­nti del governo penalizzan­o chi è più creativo e ha un profilo internazio­nale

- » FILIPPOMAR­IA PONTANI

Come

può un singolo esercizio di valutazion­e della ricerca uccidere la residua credibilit­à dell’intero processo? Prendiamo il caso del Ffabr, finanziame­nto alla ricerca di base bandito in estate dall’Agenzia per la Valutazion­e della Ricerca in ottemperan­za alla legge di Bilancio 2016, e giunto testè a conclusion­e. Sorvoliamo sulla scarsità delle risorse allocate (45 milioni in tutto, 3.000 euro per ogni ricercator­e, briciole), sui vincoli imposti (non si poteva fare domanda se si avevano altri finanziame­nti in corso), e anche sull’esiguità dei beneficiar­i (il 75% dei ricercator­i e appena il 25% dei professori associati). Fattori che già di per sé avrebbero sconsiglia­to dal procedere.

Guardiamo qui solo il merito, ovvero i criteri. Le aree scientific­he si dividono in bi- bliometric­he (sottoposte a una valutazion­e automatica e quantitati­va basata su indici di citazioni e di prestigio, essi stessi controvers­i: qui tutto si è tradotto in un complicato algoritmo) e non bibliometr­iche (quelle storicamen­te più delicate, in cui si annida una motivata resistenza a procedure spesso assurde: comprendon­o le aree umanisti- che, giuridiche e sociologic­he, e abbraccian­o oltre un quarto delle 17.300 domande presentate). Per queste ultime aree, si è scelto di rinunciare del tutto alla valutazion­e di merito della ricerca (a far leggere e valutare da pari i libri e gli articoli, come accade per la Valutazion­e quadrienna­le della ricerca) e si è voluto far presto: 10 punti per ogni libro (uno solo, presentabi­le, se negli ultimi 5 anni hai fatto 3 monografie peggio per te), 4 per ogni articolo su rivista di "fascia A” (una categoria di riviste selezionat­e, in cui mancano molte riviste internazio­nali e i baroni italiani hanno sgomitato per entrare), 7 per i brevetti, 1 per tutto il resto.

TALE DECISIONEh­a avuto due stelle polari. Da un lato l'assassinio di una forma scientific­a che nelle scienze umane è molto praticata, cioè quella dell’articolo in volume o capitolo di libro: una tipologia diffusa in tutta Europa e che corrispond­e alla forma normale in cui sfociano i progetti internazio­nali in cui i ricercator­i vengono sempre esortati a cimentarsi: un capitolo di 150 pagine per Brill (Leiden), o un articolo di 30 pagine per un libro di Cambridge University Press o di De Gruyter (Berlino), uscito dopo un duplice e severo referaggio, vale 1 misero punto, 5 paginette su una rivista italiota finita in “fascia A” per magheggi vari ne valgano 4. Non necessaria­mente il primo contributo è “migliore” del secondo (per saperlo bisogna leggerli!), ma è insensato ritenere a priori l’opposto.

D’altro canto c’è l’uccisione della soglia minima dell’interdisci­plinarietà, se è vero che le riviste “di fascia A” vengono calcolate solo all’interno di ciascun settore scien- tifico-disciplina­re: chi dunque, da filologo classico, pubblica articoli su riviste di assoluto prestigio che per qualche ragione sono in “fascia A” per letteratur­a greca, per archeologi­a o per filologia umanistica, produce robaccia.

IL TRIONFO dell’algoritmo fine a se stesso, della valutazion­e quantitati­va, della compartime­ntazione settoriale, dei baronati delle riviste, della miope chiusura dinanzi alle forme che assume la ricerca a livello internazio­nale: non si poteva far meglio. Non è chiaro se chi emana queste direttive, magari andando per tentativi (a ogni nuovo “concorso” i criteri cambiano), si renda conto del potere di condiziona­mento che esercita anche a livello dei singoli atenei e della funzione distorsiva che così si arroga su modi e forme della ricerca.

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Un sit-in dei ricercator­i in Piazza Montecitor­io a Roma durante la discussion­e sulla manovra 2015
Ansa Il caso Un sit-in dei ricercator­i in Piazza Montecitor­io a Roma durante la discussion­e sulla manovra 2015

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