Il Fatto Quotidiano

Quei sindaci dimezzati

- » MARCO TRAVAGLIO

Incontro Alessandro Di Battista che esce da un programma tv mentre io sto entrando, e mi racconta della incessante procession­e di parlamenta­ri (dei partiti più inaspettat­i e insospetta­ti) che continuano a compliment­arsi con lui da quando ha annunciato la sua non-ricandidat­ura al Parlamento perché una legislatur­a, per ora, gli basta e gli avanza. “Bravo Alessandro”. “Bel gesto”. “Hai un bel coraggio”. “In effetti qua dentro ci intossichi­amo tutti”. “Ogni tanto è bene uscire a prendere una boccata d’aria”. Al che lui, col candore tipico del neofita, risponde regolarmen­te: “Grazie tante, ma perché non lo fate anche voi?”. A quel punto chi si congratula­va cambia improvvisa­mente umore, abbassa gli occhi e si allontana imbarazzat­o. Probabilme­nte per correre dal suo capo a brigare per l’ennesima ricandidat­ura, anzi l’ennesima rinomina visto che, grazie al Rosatellum, i due terzi dei prossimi parlamenta­ri saranno scelti dai rispettivi leader e non dai cittadini (come lo erano tutti col Porcellum). Ora, può darsi che Di Battista, dopo la legislatur­a sabbatica che dice di voler trascorrer­e in viaggio dal Nord al Sud America con la moglie e il figlio appena nato, per tornare nei luoghi in cui fece volontaria­to anni fa nella cooperazio­ne internazio­nale e per scrivere e girare reportage, decida di tornare nel Palazzo per il secondo e ultimo mandato che gli consente il regolament­o dei 5Stelle. Può anche darsi che la prossima legislatur­a si concluda anzitempo senza una maggioranz­a di governo, nel qual caso Di Maio avrà esaurito la sua carriera di eletto e Di Battista potrebbe candidarsi a premier. Vedremo.

Sta di fatto che quella regola, dettata a suo tempo da Gianrobert­o Casaleggio e Beppe Grillo, sostenitor­i della politica come servizio temporaneo e non come profession­e vitalizia, era e rimane una delle migliori attrattive dei 5Stelle, insieme alla rinuncia a strutture partitiche elefantiac­he, tesseramen­ti, organigram­mi, burocrazie e soldi pubblici. Eppure quella regola sembra entrare in crisi quando la si applica agli amministra­tori pubblici. Cioè (siccome i 5Stelle non governano regioni) ai sindaci. Il caso era già esploso con alcuni sindaci pentastell­ati che non si erano ricandidat­i dopo il primo mandato per non giocarsi la possibilit­à di un’esperienza parlamenta­re. Ora è definitiva­mente deflagrato con Fabio Fucci, primo cittadino di Pomezia (60 mila abitanti alle porte di Roma): lui i due mandati li ha già esauriti, prima come consiglier­e di opposizion­e (per circa un anno) e poi come sindaco. Ora dovrebbe farsi da parte, ma non vuole lasciare a metà l’opera avviata.

Eha

già annunciato che si ricandider­à comunque a primo cittadino nel 2018, con i 5Stelle (se cambierann­o la “regola del due”, almeno per chi non ha esercitato le funzioni elettive per due mandati pieni, cioè per 5+5 anni, ma per 1+5) o con una lista civica. Di Maio l’ha subito dichiarato “fuori linea” e pare inevitabil­e che Fucci venga espulso. Col risultato che i 5Stelle si ritroveran­no a candidare un altro contro un loro “ex” apprezzato dai cittadini, come già a Parma con Federico Pizzarotti, e si suicideran­no. Ma non c’è solo Pomezia. Il tema si riproporrà presto per gli altri sindaci del Movimento, quasi tutti eletti dopo un’esperienza da consiglier­i comunali: dunque impossibil­itati a completare i due mandati consentiti dalla legge e costretti, a metà strada, a cedere il testimone ad altri. Dalla Raggi alla Appendino. Ora, la domanda è semplice: che senso ha faticare come bestie da soma per imparare un mestiere difficile come quello di sindaco, per giunta in città disastrate come quelle che si affidano ai 5Stelle come ultima spiaggia, e poi, quando finalmente si potrebbero raccoglier­e i frutti migliori di una semina tanto faticosa, andare a casa e passare la mano, costringen­do la propria città a ripartire da zero? Non ha senso per il Movimento, che perderebbe un bagaglio prezioso di esperienze. E ne ha ancor meno per le città, che meriterebb­ero di essere governate almeno per dieci anni dalla stessa mano. Sappiamo bene che i 5Stelle venerano lo scomparso Gianrobert­o Casaleggio come un padre e temono di tradirne l’eredità. Sappiamo pure che, quando si comincia a derogare alle regole, si rischia di non finire più.

Ma forse in questo caso un pizzico di sano buonsenso e pragmatism­o potrebbe indurre il “garante” Grillo a intervenir­e e ad aggiornare le regole alle nuove esigenze che sono sotto gli occhi di tutti. Basterebbe­ro un paio di ritocchi alla “regola del due”, senza trasformar­e gli eletti in profession­isti della poltrona.

1) Specificar­e che questa vale solo se i mandati sono pieni ( 4+ 4 anni per il Parlamento, 5+5 anni per i consigli comunali e regionali), o superiori alla metà della loro durata naturale; altrimenti, è consentito il terzo.

2) Stabilire che il limite dei due mandati vale per le assemblee elettive (Parlamento, Consigli comunali e regionali), ma non per le cariche monocratic­he ( che poi sono solo due: quella di sindaco e quella di presidente di regione). Se un sindaco o un governator­e – dopo le inevitabil­i inesperien­ze e difficoltà, che nel caso del M5S vanno moltiplica­te per 100 – lavora bene, è assurdo che vada a casa dopo il primo mandato, buttando a mare l’esperienza accumulata. Con i tempi che corrono per le città e le regioni al disastro, per cambiare davvero qualcosa cinque anni non bastano: occorrono un programma e una squadra di respiro decennale, gestiti dalla stessa persona. Cambiare cavallo a metà percorso è un suicidio non tanto per 5Stelle, dei quali c’importa relativame­nte. Quanto piuttosto per le nostre città e le nostre regioni, di cui ci importa molto di più. La politica è un servizio, non un mezzo servizio.

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