Il Fatto Quotidiano

Cannavacci­uolo, dalla padella alla brace

Lo chef e i guai del bistrot Blitz di Asl e Nas nel locale: prodotti surgelati spacciati per freschi

- » ANDREA SCANZI

La figuraccia raccattata coi Nas da Antonino Cannavacci­uolo genera un po’di dispiacere. Dei troppi chef divenuti fastidiosa­mente famosi, lui è di gran lunga il più simpatico (non si sa se anche uno dei più bravi). Con quella sua mole e quei suoi toni bonariamen­te burberi, è un po’il Bud Spencer dei fornelli, che in Cucine da incubo redime gli infedeli (e gli incapaci) a suon di improperi e sganassoni. Più lui li tratta male e più i sottoposti godono. Ora tra le cucine da incubo sembra esserci finito il suo Bistrot Torino, aperto l’estate scorsa. Il locale prevede un menu degustazio­ne a 75 euro a persona. Le denunce dei Nas – che ipotizzano una frode in commercio – non toccano personalme­nte Cannavacci­uolo ma il direttore del bistrot, Giusep- pe Savoia, e la moglie di Cannavacci­uolo Cinzia Primatesta, responsabi­le della società che gestisce la catena di ristoranti dello chef. Due le irregolari­tà riscontrat­e: mancava la corretta indicazion­e dei prodotti congelati e non c’erano le indicazion­i per tracciare alcune materie prime. Entrambe non paiono esattament­e mancanze gravissime.

CANNAVACCI­UOLO si è difeso così: “Mancava un asterisco. Quel cibo in frigo era per noi. Non sono state riscritte le schede dei singoli fornitori sui registri del ristorante? Evidenteme­nte negli ultimi tre giorni nessuno aveva avuto ancora il tempo”. La sua amarezza ci sta. Ci sta un po’ meno la frase successiva: “Storie come questa fan venire voglia di andarsene”. Sono più o meno le medesime parole che pronunciò lo chef Massimo Bottura, che minacciò (o promise) di abbandonar­e l’Italia qualora avesse vinto il “no” il 4 dicembre. Poi i gufi hanno vinto, ma Bottura – in perfetta li- nea con Renzi e Boschi, ma pure con Carbone e Fedeli – si è guardato bene dall’andarsene.

Lo scivolone di Cannavacci­uolo, che fa già più rumore della effettiva portata del dolo eventuale, dice forse tre piccole cose. La prima è che i cuochi dovrebbero trattare meglio i loro clienti e colleghi, perché a passare dalla padella alla brace non ci vuol nulla: il giorno in cui qualcuno risponderà agli scleri sgrammatic­ati e afoni di Cracco con un bel cazzottone sarà sempre troppo tardi. La seconda è che gli chef, con rispetto parlando, cominciano a frantumare un po’ troppo gli zebedei. La terza è che nessuno obbliga i cuochi italiani a stare in Italia. Se vi piace così poco, potete sempre andarvene: la Terra resterebbe comunque in asse, senza scossoni significat­ivi.

Mancava un asterisco Quel cibo in frigo era per noi Storie come questa fan venire voglia di andarsene

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LaPresse Fornelli serpenti Antonino Cannavacci­uolo

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