Cannavacciuolo, dalla padella alla brace
Lo chef e i guai del bistrot Blitz di Asl e Nas nel locale: prodotti surgelati spacciati per freschi
La figuraccia raccattata coi Nas da Antonino Cannavacciuolo genera un po’di dispiacere. Dei troppi chef divenuti fastidiosamente famosi, lui è di gran lunga il più simpatico (non si sa se anche uno dei più bravi). Con quella sua mole e quei suoi toni bonariamente burberi, è un po’il Bud Spencer dei fornelli, che in Cucine da incubo redime gli infedeli (e gli incapaci) a suon di improperi e sganassoni. Più lui li tratta male e più i sottoposti godono. Ora tra le cucine da incubo sembra esserci finito il suo Bistrot Torino, aperto l’estate scorsa. Il locale prevede un menu degustazione a 75 euro a persona. Le denunce dei Nas – che ipotizzano una frode in commercio – non toccano personalmente Cannavacciuolo ma il direttore del bistrot, Giusep- pe Savoia, e la moglie di Cannavacciuolo Cinzia Primatesta, responsabile della società che gestisce la catena di ristoranti dello chef. Due le irregolarità riscontrate: mancava la corretta indicazione dei prodotti congelati e non c’erano le indicazioni per tracciare alcune materie prime. Entrambe non paiono esattamente mancanze gravissime.
CANNAVACCIUOLO si è difeso così: “Mancava un asterisco. Quel cibo in frigo era per noi. Non sono state riscritte le schede dei singoli fornitori sui registri del ristorante? Evidentemente negli ultimi tre giorni nessuno aveva avuto ancora il tempo”. La sua amarezza ci sta. Ci sta un po’ meno la frase successiva: “Storie come questa fan venire voglia di andarsene”. Sono più o meno le medesime parole che pronunciò lo chef Massimo Bottura, che minacciò (o promise) di abbandonare l’Italia qualora avesse vinto il “no” il 4 dicembre. Poi i gufi hanno vinto, ma Bottura – in perfetta li- nea con Renzi e Boschi, ma pure con Carbone e Fedeli – si è guardato bene dall’andarsene.
Lo scivolone di Cannavacciuolo, che fa già più rumore della effettiva portata del dolo eventuale, dice forse tre piccole cose. La prima è che i cuochi dovrebbero trattare meglio i loro clienti e colleghi, perché a passare dalla padella alla brace non ci vuol nulla: il giorno in cui qualcuno risponderà agli scleri sgrammaticati e afoni di Cracco con un bel cazzottone sarà sempre troppo tardi. La seconda è che gli chef, con rispetto parlando, cominciano a frantumare un po’ troppo gli zebedei. La terza è che nessuno obbliga i cuochi italiani a stare in Italia. Se vi piace così poco, potete sempre andarvene: la Terra resterebbe comunque in asse, senza scossoni significativi.
Mancava un asterisco Quel cibo in frigo era per noi Storie come questa fan venire voglia di andarsene