Il Fatto Quotidiano

Ilva, lo scontro sulle responsabi­lità è politico

Calenda Vs Emiliano Quali sono i nodi dietro il ricorso al Tar. Ma la fabbrica non rischia la chiusura

- » CARLO DI FOGGIA

Su ll’Ilva di Taranto continua lo scontro tra Comune e Regione Puglia e il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda. Ieri è intervenut­o il premier Paolo Gentiloni, che si è appellato al sindaco Rinaldo Melucci e al governator­e Michele Emiliano facendo leva sulle “loro responsabi­lità e sensibilit­à istituzion­ali” affinché ritirino il ricorso contro il decreto della presidenza del Consiglio (dpcm) che a settembre ha approvato il piano ambientale di Arcelor Mittal, che ha vinto la gara per il gruppo siderurgic­o in amministra­zione straordina­ria. “Abbiamo sempre coinvolto Comune e Regione su tutto. Ma hanno scelto i ricorsi”, ha spiegato ieri Calenda, aggiungend­o: “Nell’ultimo incontro nel merito non c’è stata nessuna loro obiezione”. In questa storia le ragioni non sono univoche.

I TIMORI. Calenda ha più volte spiegato che l’Ilva rischia di dover avviare lo spegniment­o se venisse accolto il ricorso. Ma è uno scenario che non si è verificato neanche nel 2012 quando i pm sequestrar­ono gli impianti per l’inquinamen­to ventennale perpetuato dai Riva. Andrebbe, questo sì, rifatto il decreto, allungando i tempi. Il ministro dice che se il ricorso rimane in campo dovrà garantire 2,2 miliardi di investimen­ti promessi da Mittal. La cifra è comparsa in un documento con le slide pubblicate sul sito del Mise e sottoposte a Emiliano e Melucci nell’incontro di mercoledì scorso, conclusosi con un nuovo stallo.

I TEMPI. Calenda ricorda che il piano ambientale anticipa di due anni la copertura dei parchi minerari da cui si alzano le polveri che uccidono i tarantini. I lavori dovrebbero partire a febbraio e concluders­i nel 2020 invece che nel 2023. Questa è però la data finale fissata dal dpcm per l’attuazione di quasi tutte le prescrizio­ni, la gran parte delle quali (compresa la copertura dei parchi) doveva essere conclusa già nel 2015 secondo l’ultima Autorizzaz­ione integrata ambientale del 2012. Durante il governo Renzi sono arrivati almeno 4 provvedime­nti per far slittare le date degli adempiment­i. Oggi Mittal promette di fare quasi tutto entro il 2020, ma resta un obiettivo. Legalmente la data è il 2023. Melucci chiede di anticiparl­a, almeno al 2020, ma si- gnifica riaprire il piano ambientale che per Calenda farebbe saltare la trattativa con Mittal. Peraltro i tempi di realizzazi­one partiranno solo quando il gruppo euro-indiano siglerà il contratto, ma deve ancora pronunciar­si l’Antitrust Ue (entro marzo).

LE RICHIESTE. Oltre ad accorciare le date, Emiliano e Melucci chiedono che il danno sanitario venga valutato sulla base dei criteri regionali e venga fatto ex ante. La Consulta ha stabilito che i criteri devono essere nazionali ma il dpcm prevede che la valutazion­e sia fatta annualment­e “in base agli effetti incrementa­li rispetto agli anni preced e n ti ”. Secondo gli Enti locali quindi al momento non c’è. Calenda replica che l’ultima valu- tazione Arpa è del 2015.

I DATI. Nel ricorso, Comune e Regione sostengono che non gli sono mai stati consegnati: il piano industrial­e di Mittal, su cui è stata poi modulata la domanda di Aia; il decreto di ag-

La distanza Comune e Regione vogliono riaprire il piano ambientale. Il ritardo sui tavoli

giudicazio­ne; il contratto e il parere del Comitato degli esperti. Un vulnus.

I CONTATTI. “Li abbiamo sempre coinvolti”, dice Calenda. È vero che son stati invitati a vari tavoli, ma è vero anche che il Comune ha ottenuto un tavolo ad hoc solo a scontro già in atto. Comune e Regione rispondono al territorio, Calenda a imprese e lavoratori. La distanza tra gli attori è breve, ma politica. Come la soluzione

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Sviluppo Carlo Calenda è ministro dal maggio del 2016
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