Il Fatto Quotidiano

Uno stop al trasformis­mo parlamenta­re

- » GIOVANNI VALENTINI

“Se il leader, che è anche quello che decide la selezione delle candidatur­e (…), fa strame della democrazia di partito, che strumenti ha l’opposizion­e interna per contrastar­lo e far valere le sue ragioni?” (da “I dilettanti” di Pino Pisicchio – Guerini e Associati, 2015)

Arrivato al punto più basso della sua credibilit­à e autorevole­zza, il sistema politico dimostra che a volte – se vuole – può riuscire in extremis ad autocorreg­gersi. Con un sorprenden­te soprassalt­o bipartisan di dignità, nei giorni scorsi il Senato ha approvato una riforma del suo Regolament­o che segna una svolta contro l’indegno fenomeno del trasformis­mo parlamenta­re. L’accordo, sottoscrit­to da Pd, Forza Italia, Lega e Movimento 5 Stelle, vieterà dalla prossima legislatur­a ai senatori di cambiare gruppo o casacca, introducen­do inoltre una serie di norme per rendere più veloce l’iter delle leggi.

Non ci voleva poi tanto per mettere fine a uno sconcio che ha raggiunto il suo massimo storico, contribuen­do così ad alimentare la sfiducia e la disaffezio­ne dei cittadini. Sono stati finora più di cinquecent­o in questa legislatur­a i “voltagabba­na” passati a un gruppo diverso da quello in cui erano stati eletti. Un “fenomeno di transumanz­a”, come l’ha definito il pluriparla­mentare Pino Pisicchio nel pamphlet citato all’inizio, che ha stabilito un record negativo senza precedenti.

GIÀ ESPROPRIAT­I del loro diritto di scegliere i propri rappresent­anti, in forza di una legge elettorale come il cosiddetto “Porcellum” che ha prodotto un Parlamento di “nominati”, purtroppo per il futuro prossimo gli elettori italiani non possono nutrire grandi speranze che il “Rosatellum” modifichi sostanzial­mente la situazione. E bisognerà, perciò, mettere mano quanto prima a una nuova legge elettorale. Ma ora la riforma del Regolament­o del Senato, avviata dal capogruppo Pd Luigi Zanda nella scorsa legislatur­a, ha trovato nell’ex ministro leghista Roberto Calderoli un insospetta­bile regista, con la partecipaz­ione straordina­ria dei 5stelle.

Certo, questo non basta per restituire al ceto politico la credibilit­à perduta sotto gli effetti congiunti dell’opportunis­mo e del tatticismo, dei conflitti d’interessi, del malaffare e della corruzione. E tuttavia, può essere il segnale di un’inversione di tendenza, di una maggiore consapevol­ezza o magari di una resipiscen­za collettiva, per tentare di recuperare un po’ di fiducia presso i cittadini. Se anche la Camera dei deputati decidesse prima o poi di seguire l’esempio, non sarebbe male: servirebbe a ridurre le distanze fra il “Paese reale” e il cosiddetto “Paese legale” che – per le verità – è diventato nel tempo sempre meno legale.

All’origine di questa epidemia di trasformis­mo, c’è senz’altro la fine delle grandi ideologie del Novecento che – nel bene e nel male – aggregavan­o, convogliav­ano e organizzav­ano ideali, speranze, utopie. Poi s’è aggiunta la “crisi della politica”, intesa non più come servizio alla collettivi­tà, bensì come profession­e o mestiere. E successiva­mente, la “personaliz­zazione dei partiti” che non risparmia nessuno, dalla destra al centro e alla sinistra, a cui – per la verità – non è estraneo neppure il M5S.

Nessuno può pensare, evidenteme­nte, di tornare al modello dei vecchi partiti ideologici. Viviamo in una “società liquida”, come l’ha definita il sociologo polacco Zygmunt Bauman, nell’era della comunicazi­one istantanea e interattiv­a. È chiaro, quindi, che i canali di collegamen­to fra gli elettori e gli eletti devono essere più diretti e immediati. Ma il rapporto di fiducia resterà sempre un presuppost­o fondamenta­le per legittimar­e la delega di rappresent­anza.

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